«La verità in una chat» 

Depositati i messaggi Whatsapp: «Nessuna violenza»

PESCARA. Una chat di Whatsapp per discolparsi da quell’accusa pesante di presunti abusi sessuali. Un’accusa con la quale convive da quasi 4 anni e che gli ha cambiato la vita. Ieri, don Vito Cantò, l’ex parroco della chiesa di San Camillo de Lellis a Villa Raspa di Spoltore, ha esibito i messaggi scritti su un gruppo e, da imputato, li ha depositati in tribunale. È in quello scambio che, secondo il prete, sarebbero nascosti dei possibili punti contrastanti del racconto della vittima. All’epoca dei fatti, tra il 2011 e il 2012, un ragazzino ancora minorenne, oggi maggiorenne. E per quegli episodi don Vito è stato condannato già dalla Chiesa: interdizione perpetua dallo svolgimento di attività parrocchiali a contatto con i minorenni, alla sospensione per tre anni dal ministero sacerdotale, all’obbligo di dimora per 5 anni all’interno di un monastero di Roma e alla prescrizione di «un percorso psicoterapeutico».
I messaggi prodotti dall’avvocato difensore del parroco, Giuliano Milia, non parlano direttamente dei presunti abusi e si riferiscono a un periodo lontano circa tre anni dai fatti contestati. E allora perché sono ritenuti così importanti dal prete? Puntando sui messaggi, la difesa del parroco vorrebbe dimostrare che il racconto del giovane non sarebbe totalmente credibile. E poi su quella chat poggia anche la richiesta di rito abbreviato: ieri la difesa ha avanzato la richiesta di rito abbreviato condizionata all’acquisizione della chat tra la persona offesa ed altri. La richiesta era stata presentata già e respinta in fase di udienza preliminare, ma ieri è stata accolta dal tribunale collegiale, che «alla luce della situazione esistente al momento della valutazione negativa del gup, ritiene ingiustificato il dissenso relativo all’antieconomicità del rito». Si tornerà in aula il 23 novembre prossimo, quando saranno ascoltate due delle persone che hanno partecipato alla chat prodotta dalla difesa.
Il caso riporta a 4 anni fa quando alla curia di Pescara arrivarono voci di presunti abusi sessuali su un ragazzino. Nell’estate del 2013, con il processo canonico alle battute iniziali, fu l’arcivescovo Tommaso Valentinetti a sospendere don Vito «ad cautelam» ma senza informare le forze dell’ordine dei presunti abusi sessuali. Proprio in quel periodo, il parroco lasciò misteriosamente e improvvisamente la parrocchia di Villa Raspa e si dimise dal suo ruolo di educatore negli scout dell’Agesci. Dopo l’inizio del processo canonico, i genitori del ragazzo si rivolsero alla squadra mobile, guidata dal capo Pierfrancesco Muriana, rivelando che, tra il 2011 e il 2012, ci sarebbero stati incontri sessuali tra il prete e il minorenne nell’alloggio canonico. Secondo gli atti dell’inchiesta, coordinata dal pm Salvatore Campochiaro, i rapporti sarebbero avvenuti senza costrizione fisica ma, a distanza di mesi, avrebbero provocato una crisi di identità sessuale al ragazzo e lui si sarebbe confidato con i genitori. (p.l.)
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