Le false deleghe per la Bcc I notai: infilate di nascosto 

Lista Falconio. Dagli interrogatori dei tre professionisti a processo il 16 gennaio c’è chi tira in ballo “il ragioniere” e chi la confusione di quei momenti

PESCARA. Nella lunga querelle tra gli opposti schieramenti per la guida della Banca di Credito Cooperativo di Cappelle sul Tavo, a rischiare di più adesso sono paradossalmente tre notai che, per conto dello schieramento perdente, quello del candidato Filippo Falconio, diedero la loro disponibilità, senza remunerazione, per autenticare le firme dei deleganti in occasione delle votazioni per l'elezione dei vertici della Bcc nel 2015. Due giorni fa c’è stato il rinvio a giudizio dell'attuale presidente Michele Borgia per incetta di deleghe, mentre il procedimento parallelo, quello appunto con i notai, è già approdato davanti al tribunale: per loro la procura ha ritenuto di arrivare al giudizio immediato saltando l’udienza preliminare. Marco Faieta, Grazia Buta e Antonio Mastroberardino, tre noti e stimati professionisti, accusati di falso, sono dunque rimasti imbrigliati in una guerra che peraltro oggi non esiste più, dopo la riconferma totale di Borgia alla guida della banca per la terza volta.
Dalle carte di questo processo, che inizierà il 16 gennaio prossimo, emergono importanti passaggi: una relazione degli investigatori della guardia di finanza, le testimonianze di tantissimi soci che hanno disconosciuto le proprie firme sulle deleghe e soprattutto i verbali di interrogatorio dei notai indagati. Da premettere che le autentiche finite sotto inchiesta venivano confezionate nel corso di chiassose convention, come le definiscono gli stessi notai, che in quelle operazioni erano supportati da persone dell’organizzazione del candidato presidente Falconio, come ad esempio il “ragioniere”, così chiamato da tutti, che Faieta individua come Paolo Di Blasio, ex sindaco di Montesilvano, commercialista e all’epoca candidato consigliere del cda della banca. «Preciso», dichiara davanti al pm Faieta, «che la mia firma di autentica con il timbro non la apponevo contestualmente alla firma dei deleganti, ma solo a fine serata quando la ressa era finita: apponevo la mia firma e il giorno dopo in studio completavo con l’apposizione del sigillo. Pertanto la mia firma veniva apposta su un pacco di deleghe con fotocopia allegata al documento di identità che mi veniva data dagli organizzatori che a fianco a me durante la serata prendevano documenti e deleghe firmate davanti a me raccogliendoli tutti insieme».
Ma quando il pm lo mette al corrente delle dichiarazioni rilasciate da alcuni soci, il notaio è costretto ad una precisazione: «Prendo atto delle deleghe che mi vengono fatte visionare e delle testimonianze di alcuni delegati che riferiscono di aver apposto la firma sulla delega in posti diversi e consegnata a soggetti non in mia presenza. Non ne so nulla, posso solo immaginare che si sia trattato di deleghe che mi hanno “infilato” gli organizzatori a mia insaputa tra quelle che io ho firmato alla fine di quelle serate, pensando in buona fede di autenticare solo firme di persone che erano passate davanti a me». E poi ancora, «in tutti gli incontri la persona che mi affiancava in questa attività, chiamata il “ragioniere”, era sempre la stessa ed insieme a lui vi erano altre persone che non so specificare».
Sulla stessa falsa riga l’interrogatorio del notaio Buta che ribadiva la sua buona fede in quelle concitate serate, prendendo anche lei atto delle contestazioni della finanza. «Preciso che la mia firma e l’apposizione del sigillo avveniva successivamente a queste riunioni, a studio dove con calma facevo una ulteriore verifica di ogni cartellina. Non posso nemmeno escludere che in quella confusione, malgrado la mia attenzione, qualcuno mi abbia inserito fotocopie di documenti o deleghe da me non verificate sul posto, anche perché venivo aiutata a firmare le cartelline da persone dell’organizzazione Falconio».
Risultato finale, evidenziato dalla stessa finanza, è che il gruppo della lista Falconio, che denunciò Borgia per le presunte irregolarità sulle autentiche, avrebbe a sua volta fatto lo stesso, però per un numero maggiore di deleghe, facendo scattare il così detto “principio di resistenza”: e cioè che comunque, alla fine, l’elezione di Borgia non venne alterata in quanto le deleghe regolari del presidente erano nettamente superiori a quelle della lista Falconio. Il resto verrà chiarito durante il processo.
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