Lu Strego: divieto di accesso prima del locale

Sulla via per Rigopiano un cartello a 200 metri dalla nota trattoria: «Siamo abbandonati»

FARINDOLA. «Andarsene, per sopravvivere, sarebbe la cosa più facile, perché con il nostro nome non avremmo problemi. Ma siamo di qui, il 24 marzo facciamo 50 anni di attività, non possiamo, non sarebbe giusto spostarci da Farindola». Franco e Carmine Marzola, titolari del ristorante Lu Strego, sono tra quelli che ci credono ancora a Farindola. Anche se il resort gli riempiva il locale e adesso non c’è più, né il resort né tutto il movimento che generava. Ma pur mettendocela tutta sanno che da soli non ce la possono fare perché, come dice Franco Marzola, «la gente non deve avere paura di venire qua. E invece, non solo non si fa niente per incentivare il territorio, ma addirittura ci contrastano, come sta succedendo».

Marzola ce l’ha con i divieti di transito che interrompono la strada verso Rigopiano, a otto chilometri dall’area del disastro finita sotto sequestro. «Questi cartelli», sottolinea Marzola, «sono il segno, il simbolo di quanto le istituzioni sono lontane da questo territorio e da quello che bisognerebbe fare per farlo ripartire. Hanno messo i divieti dicendo che questa è zona rossa, ma il ristorante sta a duecento metri dai divieti, a otto chilometri dal luogo della valanga, che rischio c’è? Ma anche questo, come tutto quello che è accaduto un mese fa, è il risultato dell’abbandono trentennale di questo territorio. Dove nel 1990 hanno tolto la caserma dei carabinieri, dove i cantonieri provinciali sono rimasti tre, dove prima c’era sempre un autista dei mezzi pesanti per le emergenze e dove la turbina stazionava a Farindola, non a Pescara. Perché qui siamo in montagna. Stavolta c’è stata la valanga, ma già tre anni fa, la sera del 31 dicembre, ci fu una nevicata che bloccò la strada. Aspettavo 160 persone e persi tutto. E poi due anni fa la stessa cosa. Per questo ho smesso di pagare l’occupazione di suolo pubblico alla Provincia per l’ingresso al ristorante, e invito tutti a farlo. Perché di questo abbandono non se ne può più. E invece l’unica risposta è che hanno chiuso pure il punto nascita dell’ospedale di Penne e si è visto quello che può succedere quando nevica». (s.d.l.)

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