L'abitazione di strada Colle Orlando dove si verificò la tragedia il 30 maggio scorso

PESCARA

Morta per le botte, arrestato il convivente 

La donna di 53 anni fu trovata senza vita sulle scale di casa. Il giudice: «Lui era ubriaco e la colpì più volte alla schiena»

PESCARA. La morte di Monica Gondos, la romena di 53 anni trovata senza vita il 30 maggio scorso lungo le scale della sua abitazione a strada Colle Orlando (Fontanelle), non fu causata da una caduta accidentale, ma fu un femminicidio, maturato in un ambito familiare piuttosto degradato. A questa determinazione è giunto il sostituto procuratore Anna Benigni che non ha mai creduto a quella morte accidentale e ha finito per trovare gli elementi per incastrare il convivente, romeno come la vittima, che ieri mattina i carabinieri di Pescara hanno arrestato a seguito di un'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Nicola Colantonio e richiesta dalla procura.

Il pm Anna Benigni, titolare dell'inchiesta

LA VIOLENZA. Gelu Cherciu è accusato di maltrattamenti continuati: tante botte inferte con grande violenza alla povera donna, che hanno finito per ucciderla. I risultati dell'autopsia eseguita dal medico legale Cristian D'Ovidio avevano già sollevato molti dubbi che il pm ha approfondito con una istruttoria nel corso della quale sono state acquisite diverse testimonianze, oltre a quella del convivente. Le dichiarazioni delle due figlie della donna non hanno fatto altro che confermare le responsabilità in capo a Cherciu che adesso rischia fino a 20 anni di reclusione, secondo il codice penale, per quei maltrattamenti continuati che portarono alla morte della donna dopo l'ultimo litigio di quella sera di maggio.
L’ALLARME. Fu lo stesso indagato a chiamare i carabinieri intorno alle 18: riferiva di aver trovato la donna morta lungo le scale. Ma l'autopsia accertò che il decesso risaliva a oltre cinque ore prima della telefonata fatta ai carabinieri. Quando il comandante del nucleo investigativo, il maggiore Massimiliano Di Pietro, e il comandante della compagnia, Antonio Di Mauro, giunsero sul posto, trovarono l'arrestato in mutande e scalzo e soprattutto in stato di ubriachezza, tanto che lo trasportarono in ospedale. Il medico legale, dopo aver approfondito l'esame del corpo della vittima concluse che le tante ecchimosi che aveva non erano dipese dalla caduta, ma erano «conseguenze di azioni politraumatiche...tali riscontri consentono di collocare molto verosimilmente le suddette ecchimosi in un'epoca di produzione recente e sincrona, probabilmente di qualche ora». La morte sopraggiunse per insufficienza cardiorespiratoria a causa di due costole rotte che le avevano bucato il polmone: colpi violentissimi inferti sulla schiena della malcapitata.
LE BUGIE. Interrogato dal magistrato, Cherciu prima affermava di aver visto la donna per l'ultima volta alle ore 16, poi ritrattava collocando l'orario tra le 11,30 e le 12, e negava di aver litigato o picchiato la sua convivente. Le figlie della vittima dichiararono al magistrato che sia la madre sia il convivente facevano uso di sostanze alcoliche, che i litigi tra i due si verificavano spesso e in maniera violenta e che la madre più volte si era rifugiata da loro, anche per alcuni giorni, mostrando evidenti segni di violenza. «Io le chiedevo come li avesse fatti e lei diceva che era caduta, però gli occhi le si riempivano di lacrime», così una delle figlie, che aggiungeva che l'ultima volta che la madre si era rifugiata a casa sua aveva riferito di un litigio avuto con Cherciu «che le aveva chiesto soldi che lei non aveva, per pagare le bollette e comprare le bottiglie di alcolici».
L’INTERCETTAZIONE. E tutte due le figlie dichiararono, aspetto importante ai fini dell'inchiesta, di aver visto la madre due giorni prima della disgrazia senza alcun livido sul viso o sul labbro. L'arrestato venne di nuovo interrogato verso la fine di giugno quando i carabinieri gli notificarono il decreto di dissequestro dell'appartamento al quale erano stati posti i sigilli per eseguire tutti gli accertamenti del caso. E quando uscì dalla caserma, non sapendo di avere il telefono sotto controllo, parlando con un suo conoscente il romeno affermò: «Non mi hanno chiuso, stupidi del cavolo», riferendo all'amico che i militari non lo avevano arrestato e quindi non erano riusciti a smascherarlo.
ABUSO DI ALCOL. Le indagini accertarono che quella sera Cherciu era rimasto in casa e aveva assunto forti quantità di alcolici. «Si tratta di un soggetto», scrive il gip, «che è solito fare abuso di sostanze alcoliche e che non è capace di arginare le proprie pulsioni violente. La reiterazione di condotte vessatorie per un lungo arco temporale» - la relazione tra i due andava avanti da qualche anno - «e la particolare violenza dei colpi inferti dal Cherciu (in danno di soggetto soggiogato e in stato di minorata difesa nell'ambito familiare) attestano, in maniera incontestabile, l'assoluta pericolosità»