Il capannone della Dag srl di Moscufo dopo l'incendio

Moscufo, incendio alla ditta di trasporti: arrestato ex padroncino

L’uomo, 60 anni, si è presentato ieri dai carabinieri. Dietro il gesto, il risentimento per il rapporto interrotto dalla ditta

MOSCUFO. «Ho cercato di non metterti in mezzo alla mer... ma visto il tuo silenzio accetto la sfida. Pensa a tutte le conseguenze».
L’aveva promesso e l’ha fatto, senza timore di essere riconosciuto. Anzi, dicendo ai tre dipendenti presenti nel capannone della ditta di trasporti «uscite che metto fuoco a tutto». Era la sera del 31 ottobre quando dopo il rogo che ha danneggiato la struttura di via Sardegna, a Moscufo, distruggendo materiali e attrezzature della Dag srl “colpevole” di non farlo lavorare più come padroncino, D.C. 60 anni originario di Ottaviano nel Napoletano e residente a Fontanelle a Pescara, si era dato alla fuga facendo perdere le sue tracce. A incastrarlo c’erano le testimonianze dei tre lavoratori presenti quando ha svuotato una tanica di liquido infiammabile su pacchi e pneomatici a cui poi ha dato fuoco, ma anche i messaggi minatori inviati fino all’ultimo al presidente del consiglio di amministrazione della ditta e, soprattutto, le immagini registrate dalle telecamere interne. Da più di una settimana, ormai, i carabinieri della compagnia di Montesilvano diretti dal capitano Vincenzo Falce lo stavano cercando. E intorno alle 14,30 di ieri, evidentemente messo alle strette, si è presentato lui stesso nella caserma della compagnia di Montesilvano assistito dal suo legale, l’avvocato Pasquale D’Incecco. Ed è finito in carcere dopo che gli stessi militari gli hanno notificato l’ordine di custodia cautelare in carcere diposto dal gip Antonella Di Carlo su richiesta del pm Barbara Del Bono.
Già noto alle forze dell’ordine, separato e padre di quattro figli (per loro tutela non scriviamo il nome per esteso)D.C. è accusato di incendio e tentata estorsione.
Secondo quanto ricostruito dal gip, sulla base delle risultanze investigative dei carabinieri, l’uomo per anni aveva lavorato per la Dag come padroncino. Fino a settembre quando il rapporto lavorativo si era interrotto perché, su segnalazione del commercialista della ditta, era venuto fuori che il lavoratore non era più titolare della partita Iva, inattiva da anni. Di qui l’interruzione che sarebbe durata fino a quando, così gli viene detto, non avesse regolato la sua posizione. Ma la cosa non va affatto giù a D.C. il quale da ottobre inizia a contattare il presidente del cda prima bonariamente, chiedendogli di chiudere un occhio, poi dicendo che il commercialista doveva farsi gli affari suoi e poi paventando che avrebbe fatto qualche sciocchezza. E ancora, che l’avrebbe denunciato alla Guardia finanza dicendo che l’avevano fatto lavorare senza partita Iva, poi ancora chiedendo, e ottenendo un prestito di 1.700 euro e poi, il 23 ottobre, che se non fosse tornato a lavorare con loro avrebbe messo fuoco al locale, visto che già aveva compiuto altri attentati. È in questa escalation che si arriva al 27 ottobre quando con il messaggio telefonico dichiara definitivamente guerra: «Accetto la sfida» scrive. E quattro giorni dopo appicca l’incendio.
Per il gip deve andare in carcere, per la sua personalità «prepotente e spregiudicata, perché non ha avuto scrupolo a minacciare chi gli opponeva un no e poi a punirlo».
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