Inchiesta L'Aquila Nera

Neofascisti, iniziano gli interrogatori «Per fermarli infiltrati due carabinieri»

Il procuratore Cardella: il gruppo stava per agire, dopo la rapina dei fucili avrebbero colpito politici e istituzioni

L’AQUILA. Si preparavano a uccidere politici, quelli senza scorta, magistrati, a far saltare in aria prefetture, questure, sedi di Equitalia e le metropolitane delle principali città, bruciare campi rom e non erano escluse azioni in Abruzzo come una bomba nella sede di Equitalia a Chieti in centro. Lo scopo di questo gruppo di esaltati dai metodi stragisti era di minare la stabilità sociale e preparare il terreno a un nuovo soggetto politico di ispirazione neofascista che potesse impadronirsi delle istituzioni. Ma la retata dei carabinieri del Ros, nell’operazione «Aquila Nera», ha bloccato sul nascere il piano eversivo del gruppo clandestino «Avanguardia Ordinovista», che aveva la base principale a Montesilvano, importanti ramificazioni all’Aquila e nella provincia di Chieti. Oltre a basisti in tutta Italia: Ascoli, Milano, Sassari, Gorizia, Como, Varese, Roma, Torino, Palermo, Modena e Venezia.

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Il bilancio provvisorio è di 14 arresti (3 ai domiciliari) e 31 indagati. Gente che di certo non aveva remore se, come si apprende da un’intercettazione, avevano chiesto soldi per finanziarsi (senza successo) anche all’ex premier Silvio Berlusconi. Gli arresti, chiesti e ottenuti dalla Procura distrettuale dell’Aquila dal pm Fausto Cardella e dal sostituto Antonietta Picardi, sono stati inevitabili, visto che dalle intercettazioni era chiara l’intenzione di fare un attentato prima di Natale. Anche in precedenza era stato sventato un tentativo di rapinare armi, 21 fucili, nell’abitazione di un collezionista residente in via Chieti nel centro di Pescara, che li deteneva regolarmente. I carabinieri hanno fatto irruzione nell’abitazione e, facendo leva su alcune irregolarità amministrative, hanno prelevato il piccolo arsenale. Il tentativo di procurarsi armi era palese, visto l’interesse per reperire anche ordigni della seconda guerra mondiale. Altre armi, i kalashnikov, stavano per arrivare dalla Slovenia. Tra i progetti (poi saltati) anche l’uccisione di Marco Affatigato, ex Ordine Nuovo, ma passato ai servizi segreti e dunque ritenuto un traditore. Alla conferenza stampa hanno partecipato, oltre ai due magistrati, anche il comandante nazionale dei Ros, Mario Parente, e il generale Claudio Quarta, comandante Legione carabinieri Abruzzo, Paolo Piccinelli comandante provinciale dei carabinieri di Pescara, che hanno spiegato l’evoluzione delle indagini durate due anni a fronte di reati gravissimi contestati agli arrestati: associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico e associazione finalizzata all'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, o religiosi. Le indagini, agevolate dalla presenza di due carabinieri infiltrati, sono partite attorno al gruppo guidato da Stefano Manni, 48 anni, originario di Ascoli Piceno ma residente a Montesilvano (dove progettava rapine), il quale vanta un legame di parentela con Gianni Nardi, che negli anni Settanta fu uno dei maggiori esponenti di Ordine Nuovo. Il gruppo ha utilizzato Facebook come strumento di propaganda eversiva, incitamento all'odio razziale e proselitismo. A tal riguardo Manni (ex sottufficiale dei carabinieri nella stazione di Chieti Scalo fino al 1998, poi riformato per motivi di salute) aveva realizzato un doppio livello di comunicazione: in uno con un profilo pubblico lanciava messaggi volti ad alimentare tensioni sociali e a suscitare sentimenti di odio razziale, in particolare nei confronti di persone di colore; in un altro, con un profilo privato limitato ad un circuito ristretto di sodali, discuteva le progettualità eversive del gruppo.

Tra gli arrestati anche la sua convivente, Marina Pellati, che faceva proselitismo tramite la pagina Facebook «Nuovo centro studi Ordine Nuovo» interagendo con nomi falsi; Luca Infantino, ritenuto un soggetto assai operativo nelle riunioni del gruppo a Pescara e Montesilvano, oltre che creatore del logo del gruppo eversivo. L’aquilano Piero Mastrantonio e la compagna anche lei aquilana, Monica Malandra (ai domiciliari), insieme a Manni, Pellati, Franco Grespi, Ornella Garoli, Emanuele Pandolfina, sono accusati dal pm anche di una tentata rapina per impossessarsi di armi.

In manette anche Maria Grazia Callegari, collaboratrice di Manni con l’incarico di verificare la credibilità dei simpatizzanti, oltre a essersi dichiarata disponibile per ogni azione. Tra le principali indiziate anche Katia De Ritis che, come Infantino, svolgeva attività clandestina parallela ed era punto di riferimento di per individuare strategie e obiettivi. Franco Montanaro è accusato di essersi agganciato al gruppo di Manni «per la commissione di azioni violente». Analoghe le contestazioni mosse a Franco La Valle amico di Manni con il quale aveva partecipato a un incontro a Fara Filiorum Petri. Ai domiciliari ci sono Luigi Di Menno Di Bucchianico, in quanto sostenitore di un intervento violento e critico «per la lentezza delle azioni da mettere in campo da parte di Manni» e Marco Pavan, che ha dato disponibilità a porre basi operative del progetto in Veneto. «Crediamo di essere arrivati» ha commentato Cardella, «prima che l'organizzazione entrasse in azione, i progetti c'erano, non potevamo correre il rischio di scoprire dopo quanto fossero concreti. Per la prima volta abbiamo applicato la norma che prevede la presenza di agenti infiltrati assieme alle intercettazioni e agli altri strumenti investigativi utilizzati».

Dalla mattina di mercoledì 24 dicembre, nonostante la vigilia di Natale, il pubblico ministero Fausto Cardella e la sostituta Antonietta Picardi cominceranno gli interrogatori ai primi ordinovisti reclusi: tra questi Stefano Manni.

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