Paola Di Nicola, “la” giudice che combatte i pregiudizi

La magistrata del tribunale penale di Roma a Teramo per presentare il suo libro «Racconto l’insicurezza che è anche in me, nonostante sia una donna di potere»

di Anna Fusaro

Il pluriergastolano che davanti al pubblico ministero donna chiede con tono di sfida: «Aund'è u magistratu?».

Il trafficante di rifiuti che prima dell'interrogatorio percorre con sguardo arrogante la giudice, gambe, scollatura, capelli. Silvio Berlusconi e la sprezzante frase sulle «donne giudichesse femministe e comuniste», pronunciata con dispetto dopo la milionaria sentenza di divorzio del Tribunale di Milano.

Che si tratti del delinquente nato dai tratti lombrosiani o di un ex premier il quid è il medesimo: la resistenza incallita a riconoscere il ruolo, la figura istituzionale, se a vestire la toga è una donna. Alle storpiature linguistiche sessiste del (poco) cavaliere rispose, sul Venerdì di Repubblica del 18 gennaio scorso, Paola Di Nicola, magistrata giudicante del Tribunale penale di Roma, osservando come Berlusconi avesse restituito voce a intollerabili pregiudizi. Gli altri episodi li ha raccontati, insieme a molto altro, in un piccolo rivoluzionario libro uscito a settembre e già alla terza edizione, "La giudice. Una donna in magistratura" (Ghena Book, 168 pagine, 14.90 euro).

Rivoluzionario e orgogliosamente rivendicativo di un'appartenenza di genere fin dall'uso nel titolo dell'articolo determinativo femminile "la" davanti al sostantivo "giudice". Nel libro, aperto dalla prefazione della scrittrice Melania Mazzucco (amica dai tempi del liceo classico Mamiani e del campetto di pallavolo), Paola Di Nicola intreccia biografia e saggio, privato e pubblico, la vicenda personale e il percorso della figura istituzionale declinata al femminile, focalizzando i pregiudizi che ostacolarono l'ingresso delle donne in magistratura.

Pregiudizi, sottolinea l'autrice, consegnati nell'ordinamento regio (legge del 1919 e ordinamento giudiziario del 1941) e poi inopinatamente perpetuati dai padri costituenti (ma non dalle 20 madri presenti nell'Assembla del 1947) vietando l'accesso alle donne in magistratura fino al 1963, mezzo secolo fa, un battito di ciglia in termini storici. Tornando nella città del padre, il magistrato antiterrorismo Enrico Di Nicola, per anni a capo delle Procure di Pescara e Bologna, Paola Di Nicola ha presentato il suo libro "La giudice" mercoledì a Teramo su invito della Provincia, della consigliera di parità, e della biblioteca Melchiorre Dèlfico. Con lei sono intervenuti il presidente provinciale Valter Catarra, il direttore della biblioteca Luigi Ponziani, la consigliera di parità Anna Pompili, il presidente del Tribunale di Teramo Giovanni Spinosa e il sostituto procuratore Laura Colica.

Prima dell'incontro pubblico nella corte interna della Dèlfico, con i genitori Enrico e Isabella raggianti in prima fila, Paola Di Nicola si è raccontata al quotidiano il Centro.

«Questo libro è un viaggio di affrancamento, alla ricerca e riappropriazione di un'identità. Ho iniziato a chiamarmi "la giudice", con l'articolo al femminile, e a firmare così le sentenze dal 2010, quando mi recai a Napoli per occuparmi dell'emergenza rifiuti. Nel primo capitolo racconto l'interrogatorio al trafficante di rifiuti Gennaro, un uomo di basso profilo culturale e umano ma con una grossa autostima come tutti gli appartenenti a àmbiti criminali significativi, gente che esercita il potere e ha veramente in mano la vita e la morte delle persone. L'interrogatorio mi disvelò la cultura secolare di insicurezza delle donne. Insicurezza presente anche in me, che pure sono una donna di potere. In quell'occasione percepii il dislivello tra il mio potere formale, del diritto, delle regole, delle istituzioni, e il suo, un potere atavico che mi impediva di essere sicura di me in quell'aula. Secoli di sottomissione delle donne, di pregiudizi, preconcetti, che percepii subito nel duello di sguardi con Gennaro. Un duello culturale e di identità. L'arroganza del suo sguardo mi fece sentire che io non ero riconosciuta in quell'aula. Allora ho compiuto un percorso per capire perché mi sentivo così. Dietro c'era una storia millenaria che mi affaticava, facendomi sentire piccola. Così sono andata alla ricerca della storia delle donne, in particolare delle donne in magistratura, una storia di porte in faccia sbattute. E ho deciso: da oggi mi firmo "la giudice", con la fierezza di appartenere alla mia identità di genere».

Una fierezza che porta l'autrice a definire questo libro, vivaddio, femminista: «Mi sento proprio figlia delle donne che hanno condotto queste battaglie prima di me. Se c'è stata la legge del 1963 è per le battaglie delle donne. A noi donne non è stato regalato niente, ogni conquista è stata frutto di lotte e sacrifici, anche personali. Il percorso delle donne è un percorso di consapevolezza partendo da sé, dalle proprie scelte personali, intime, familiari, anche dolorose».

Un cammino fatto in compagnia di buone letture, testi di autrici chiave del pensiero della differenza, come Simone de Beauvoir, Adriana Cavarero, Luce Irigaray: «Mi hanno molto influenzato. Così anche Clarissa Pimkola Estés e il suo "Donne che corrono coi lupi", un libro che mi ha fatto molto pensare in un periodo faticoso della mia vita. Il pensiero delle donne serve alle altre donne per non sentirsi sole. Un libro da regalare alle mie sorelle».

Che sono tre, Carla, funzionaria del ministero dell'Interno, Elisa biologa molecolare, Laura, docente di letteratura femminile. Quattro figlie: ma il papà si aspettava che almeno una di loro seguisse la sua strada? «Assolutamente sì, si aspettava che io facessi questa scelta. Lui ha una personalità molto forte e comunicativa, ci ha trasmesso entusiasmo per il suo lavoro, per l'impegno il senso di responsabilità».

Papà Enrico è stato il faro per Paola, così come i colleghi e amici del padre, che frequentavano casa e gustavano il timballo di scrippelle di mamma Isabella quando la futura giudice era una ragazzina con le trecce: quelli che non ci sono più, Giovanni Falcone, Girolamo Minervini, Mario Amato, Giacomo Ciaccio Montalto, e i pubblici ministeri del pool Mani pulite, della lotta alla mafia e al terrorismo, come Giancarlo Caselli («Un modello per i magistrati motivati»), che insieme a Melania Mazzucco ha presentato le pagine della giudice al Salone del libro di Torino.

«Ma devo tutto a mia madre Isabella, alle sue rinunce. Una donna di grande intelligenza, nata in un contesto familiare e in un'epoca storica in cui le donne stavano dietro una porta. Se fosse nata qualche decennio più tardi oggi sarebbe probabilmente una grande imprenditrice. Sono debitrice anche a mia nonna, che mi spinse a studiare».

Donne escluse dallo studio, come per duemila anni le donne sono state escluse dalla giurisdizione. Oggi, certifica Paola Di Nicola, le donne in magistratura sono 4006 su un totale 8678 giudici, il 46% del totale, e dopo l'ultimo concorso hanno preso servizio 210 donne su un totale di 325, con una percentuale del 65%. Un esercito in marcia: «Gli uomini sono chiusi nel fortino dei luoghi direttivi, ma i numeri dimostrano che è solo questione di tempo perchè le donne raggiungano i ruoli apicali anche in magistratura».

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