Pescara, il prefetto: «Lo Stato farà conoscere la verità su Rigopiano» 

Provolo lascia la città: quei 29 morti restano una ferita aperta anche per me. E poi ammette: «Chi risponde al telefono deve avere professionalità»

PESCARA. «Rigopiano è una ferita che non si chiude. E’ normale che i parenti delle vittime chiedano di conoscere la verità. Ma non ci sono verità nascoste, bisogna solo tirarle fuori. Lo Stato lo farà». Francesco Provolo lascia Pescara con questa frase. Il prefetto della catastrofe di Rigopiano andrà a Roma per dirigere l'Ufficio centrale ispettivo del dipartimento dei vigili del fuoco. Dal 20 novembre il nuovo prefetto di Pescara sarà Gerardina Basilicata. Ieri mattina, Provolo, ha incontrato i giornalisti. Non voleva parlare di Rigopiano, invece lo ha fatto. «Ho lavorato in terre di mafia e camorra», dice, «sono stato commissario a Casal di Principe. Ma Rigopiano è una cosa indescrivibile».
NESSUN NESSO. Gli dà fastidio chi crea un nesso tra la tragedia e il trasferimento? «Sono consapevole che su Rigopiano c’è una forte pressione mediatica. Ma il mio trasferimento non è stata una decisione improvvisa. Chi pensa il contrario è fuori dal seminario. Questa città ora ha bisogno solo di ordinarietà», risponde il prefetto che poi dice, a chi lo sostituirà: «Con lei ho lavorato insieme vent’anni. Deve stare attenta anche a Pescara perché camorra e mafia non usano solo la forza: nessun territorio è tranquillo».

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CAMORRA E FALSARI. A chi gli chiede un bilancio di due anni in Abruzzo, Provolo risponde: «Abbiamo evitato che l’area di risulta della stazione di Pescara diventasse Scampia. Era collegata con la Camorra attraverso un corridoio utilizzato per l'afflusso merce contraffatta. Ma non è stata solo un'azione di polizia».
MA LA GENTE DENUNCIA. Il prefetto che se ne va mette nel bilancio positivo anche il progetto, in fase di realizzazione, che permetterà di creare un perimetro di videosorveglianza nel quadrilatero Pescara, Montesilvano, Spoltore e Città Sant'Angelo. Un progetto per la sicurezza finanziato dalla Camera di Commercio. Con un no comment, però, risponde alla domanda su un recente tentativo, sventato, di infiltrazione di imprese collegate alla criminalità organizzata campana attraverso una vendita all’asta. «Nessun territorio che offre possibilità di fare affari è indenne», commenta, «ma da parte delle istituzioni c’è una grande attenzione. Mi sento anche di dire che i pescaresi collaborano: la gente denuncia, non si fa passare la mosca sotto il naso». E se poi si parla di pericolo terrorismo, Provolo rassicura e svela che il reclutamento non avviene nelle moschee, ma all'interno delle carceri. Ma il tema Rigopiano ritorna. E il prefetto decide di raccontare.
PROFESSIONALITÀ «E’ stata una tragedia frutto di una tempesta perfetta», afferma. «Ricordo il 18 gennaio quando le cose si aggravarono. Durante la riunione in prefettura, che cominciò alle 15 e si protrasse fino alle 18, sentimmo chiaramente tre scosse di terremoto. Ho lavorato ad Avellino durante il sisma e all'Aquila nel 2009, ma quel giorno ho provato paura anche se ho avuto la forza di rimanere seduto per organizzare le misure di sicurezza come quella di aprire subito un posto avanzato a Penne». Il momento cruciale resta però quella telefonata alla prefettura: da un lato c’era chi chiedeva aiuto per l’hotel travolto dalla valanga, dall’altra parte invece una risposta che indigna. «In tutti gli enti», ammette Provolo, «chi risponde al telefono deve avere professionalità. Ma Rigopiano è stata una serie di coincidenze che nemmeno un regista sarebbe stato così bravo da realizzare».
NEL CUORE. Nel salottino al primo piano del palazzo di Governo, il prefetto aveva esordito ieri con un laconico: «Non parlo di indagini in corso», aggiungendo di voler solo salutare la città, e di sentirsi onorato per aver lavorato a Pescara. Aveva anche detto di essere molto legato all’Abruzzo perché era vicario all'Aquila nei momenti più tragici del dopo terremoto. Ma Rigopiano anche per lui è una ferita aperta per il numero di morti, ventinove, e per chi resta. «Una ferita che rimarrà nel mio cuore», dice lasciando Pescara.