Pescara, il raptus del papà omicida e la disperazione della moglie / Foto

Nuovi particolari del terribile omicidio del bambino di 5 anni, figlio adottivo di una coppia che vive a Pescara. Gli esami sul piccolo confermano la morte per soffocamento. Il padre non sa spiegare perché ha ucciso

PESCARA. «Che hai fatto? Era la nostra vita», urla disperata Patrizia Silvestri mentre Maxim giace nel suo lettino circondato dai pagliacci, dalla foto dell’asilo, dai giocattoli di un bambino di 5 anni. Il papà, Massimo Maravalle, vaga per la casa stordito, non parla, non versa una lacrima: ha appena ucciso il figlio adottivo arrivato due anni fa dalla Siberia, l’ha soffocato con un cuscino. «E’ stato un raptus, io non so, io non so», confessa l’uomo a polizia e pm prima di essere portato in carcere mentre la moglie passa buona parte della notte in questura. La donna non regge, crolla e viene soccorsa dal 118.

IL RETROSCENA Il papà omicida avrebbe dovuto incontrare il suo psichiatra lo stesso giorno

«Che hai fatto? Era la nostra vita». E’ la notte della tragedia di via Petrarca, una traversa centrale della riviera, dove tra mezzanotte e mezza e l’una la mente di Maravalle, tecnico informatico di 47 anni con problemi psichiatrici, è andata in tilt distruggendo una famiglia felice, che viveva per quell’unico figlio arrivato a Pescara nel 2012 dai confini del mondo, da un orfanotrofio della steppa siberiana. Silvestri, 47 anni, avvocato dello studio Vasile, stava dormendo quando il marito si è alzato, è andato in sala dove ha preso un cuscino, è entrato nella cameretta del piccolo chiudendo la porta e ha soffocato Maxim nel sonno. Questione di attimi mentre di là, nella stanza attigua, Silvestri si è svegliata e non vedendo il marito a letto si è alzata. «Che hai fatto?», è stato l’urlo straziato della donna di fronte a un uomo impassibile che autonomamente, 4 giorni fa, aveva smesso di prendere le medicine per la sua malattia, il disturbo psicotico atipico di cui soffriva prima di avviare le pratiche dell’adozione, un disturbo che genera ansie ma che, secondo le prime ricostruzioni, non si era manifestato. «Mio marito non aveva mai usato violenza», dirà la donna.

Silvestri vede il figlio nel lettino non respirare più: chiama la vicina di casa che studia medicina, chiama il 118 che, una volta in casa, avverte la squadra Volante alla guida di Alessandro Di Blasio e la squadra Mobile alla guida di Pierfrancesco Muriana. Il bimbo di 5 anni, al secondo anno dell’asilo in via Milano, è ormai morto. Maravalle gira per le stanze, è freddo e in questo stato d’animo lo trovano i primi due agenti della Volante che notano un’ecchimosi dietro l’orecchio del piccolo ritenuta compatibile con il soffocamento. Un paio di domande e Maravalle ammette: «L’ho soffocato».

«LA LUCIDA CONFESSIONE». Sono circa le due di notte e inizia il secondo tempo del dramma, quello degli interrogatori, di quello formale di Maravalle portato in questura di fronte al pm Andrea Papalia e al suo avvocato Alfredo Forcillo. Il tecnico informatico, originario di Pineto e impiegato nella società Lex Team che produce software per studi legali, impressiona gli inquirenti. E’ lucido, ricorda con precisione quello che ha fatto, descrive di essere andato in sala per prendere un cuscino, confessa l’omicidio ma poi si smarrisce quando il pm gli domanda: «Perché? Perché?». «Io non so, io non so», ripete come una litania Maravalle, «sono confuso, un raptus», aggiunge l’uomo senza scomporsi come se stesse riferendo qualcosa accaduta a un’altra persona.

LA TESTMIONIANZA I vicini: viveva per suo figlio Maxim

Si ferma qui la memoria di Maravalle, secondo la prima ricostruzione, perché l’uomo non avrebbe ricordato granché del dopo, dei suoi movimenti dopo aver soffocato Maxim. Nessuna reazione neanche quando è stato portato in carcere per omicidio aggravato e in regime di stretta sorveglianza. «Un bambino adorato», spiega il suo avvocato, «Maravalle ha detto agli inquirenti che non aveva mai avuto problemi con il bambino. Occorrerà vedere quali erano le condizioni dell’uomo durante il fatto». Le stesse su cui farà chiarezza il pm che chiederà l’incidente probatorio, una perizia psichiatrica per analizzare lo stato dell’uomo durante il drammatico gesto.

LA MALATTIA Quel disturbo nascosto senza lasciare traccia

LA NOTTE PRECEDENTE. «Non aveva mai usato violenza», ha detto solo la moglie alla polizia, confermando i problemi del marito, insieme alla sorella dell’uomo e alla mamma, in un calvario appena iniziato dove l’atrocità della morte del figlio ha procurato un malore a Silvestri. Il tempo di raccontare un unico episodio, l’agitazione del marito della sera precedente. Maxim era andato a dormire nel letto dei genitori e Maravalle, nella notte, si era svegliato all’improvviso scuotendo il piccolo, pensando che Maxim stesse male fin quando Silvestri non ha tranquillizzato il marito.

DD_WEBForse qualcosa in più potrà spiegare il medico che seguiva Maravalle, lo psichiatra e docente all’Aquila Alessandro Rossi che sarà ascoltato oggi. Prima dell’alba i poliziotti hanno portato in carcere il tecnico informatico iniziando, da ieri, a lavorare su un altro versante: quello dell’adozione. La coppia era stata ritenuta idonea eppure, ieri, il giudice che ha istruito la pratica è rimasta «sgomenta» e «sbalordita» come il presidente facente funzioni del tribunale dei minori Cecilia Angrisano che non sapeva nulla dei problemi di Maravalle. Una falla? E’ su questo che lavoreranno gli investigatori passando al setaccio l’iter che ha portato all’adozione.

GLI ESAMI.  Maxim è morto per asfissia acuta da soffocamento. Lo conferma l'autopsia del piccolo eseguita stamani in obitorio dal medico legale Cristian D'Ovidio. L'esame conferma le ipotesi avanzate finora ed emerse in seguito alla prima ispezione. Massimo riserbo, invece, su tempi e modalità della morte, considerando che non si è ancora tenuto l'interrogatorio per la convalida dell'arresto, previsto lunedì. Il padre, un 47enne con un disturbo psicotico atipico, ha riferito agli investigatori di aver soffocato il figlio nel sonno con un cuscino.

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