Pescara, il titolare dell'Orsa Maggiore muore giocando a beach-volley

Lo storico titolare dello stabilimento di piazza Duca si è accasciato all’improvviso. A 55 anni lascia la moglie e due figli

PESCARA. Amava la vita ed è morto vivendo come piaceva a lui: sulla spiaggia, la sua spiaggia, quella dell’Orsa Maggiore.

Nicola Rabuffo, lo storico titolare dello stabilimento di piazza Duca degli Abruzzi se n’è andato nella serata di ieri, ucciso da un infarto che l’ha fatto accasciare mentre giocava a beach volley con gli amici di sempre, durante la solita partitella che faceva a fine giornata. È finito così, in mezzo alla sua gente, ai suoi ragazzi, ai tanti che fino all’ultimo hanno sperato che si rialzasse. Invece, nonostante l’apparente fisico forte e i suoi 55 anni vissuti da sportivo, Nicola Rabuffo non ce l’ha fatta dopo quasi un’ora di tentativi per cercare di farlo riprendere. Prima i dipendenti dello stabilimento, poi il personale del 118 con il defibrillatore, il trattamento farmacologico, le manovre respiratorie. Niente, Nicola è morto e con lui un po’ tutto lo stabilimento. Fino a sera, in attesa dell’arrivo del medico legale, la salma è rimasta su uno dei campi da beach dove anche ieri stava chiudendo la giornata di lavoro scambiando due tiri con gli amici. Ma all’improvviso si è fermato, “mi gira la testa”, si è piegato. E poi tutto il resto.

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Tra i primi ad accorrere l’amatissima moglie Marina che fino alla fine gli è stata accanto amplificando uno strazio che oltre un centinaio di persone, tra clienti e amici accorsi appena si è diffusa la notizia, hanno condiviso senza parole.

La sua storia, le sue passioni, i suoi sogni, Nicola li aveva raccontati al Centro meno di un anno fa, lo scorso novembre in un’intervista in cui si era divertito a ricordare il torneo de los petos scalzos, accesissime partite sul sabbione “vecchi contro giovani” nell’area dove poi realizzò il campo di calcetto divenuto meta invernale ed estiva per centinaia di appassionati. «Io stavo tra i giovani», raccontò di quel torneo, «tra i vecchi c’erano Pino Dolente, i fratelli Spada, il padre di Luigino Marchionne. Erano tempi in cui lo stabilimento diventava il punto di ritrovo per i ragazzi di piazza Duca già da marzo, quando il muretto davanti si riempiva». E ieri sera tutti quei ragazzi ormai cresciuti erano lì, attoniti, vicino a quello stesso muretto sul quale tante volte avevano scherzato con Nicola, una vaga somiglianza a Umberto Tozzi, anche se no, ancora in quell’intervista aveva detto «casomai Bjorn Borg se proprio dobbiamo trovare una somiglianza, o Chuck Norris, come mi ha detto qualcuno».

È difficile, per chi l’ha conosciuto, e anche per tanti suoi colleghi che ieri hanno appreso addolorati la notizia, abituarsi all’idea che Nicola, sempre affiancato dal suo inseparabile boxer Arturo, non ci sia più. Lascia le sorelle, la moglie Marina, conosciuta alla festa dei suoi 30 anni e mai più lasciata, e i due figli Nicola e Greta, 21 e 24 anni. Nicola che ieri era a Rimini, dove studia Economia del Turismo e Greta, studentessa di medicina alla Cattolica.

Un talento del calcio, Nicola Rabuffo, in verità Nicolino come il nonno, e figlio di Costantino, un maresciallo maggiore della Marina militare (“il maresciallo”) appassionato di mare che nel 1957 con una semplice domanda, come si usava allora, ottenne la concessione dove alla rotonda Paolucci il lungomare finiva. Da quel casotto tra le sterpaglie, dove nacque appunto quel goliardico torneo, Nicola ha saputo concretizzare in anticipo la visione dello stabilimento balneare come una sorta di villaggio sportivo di cui andava fierissimo quando snocciolava tutte le strutture che era riuscito a realizzare: un campo da calcetto, uno da basket, cinque campi da beach volley, la piscina e una spiaggia che nei fine settimana d’estate arriva alle tremila presenze anche adesso che il settore è in crisi, e lui aveva risposto affidandosi a un laboratorio di analisi per analizzare e rendere pubblici settimanalmente i dati sulla qualità dell’acqua. Aveva un rimpianto, forse, ed era quello di non essere diventato un grande calciatore, perché il talento c’era e l’occasione l’aveva avuta quando a 15 anni andò allo stabilimento Mariolino Corso con i dirigenti del Napoli, che l’avevano visionato, a fare la proposta al “maresciallo”, il padre di Nicola. Che invece disse no, perché «è l’unico maschio, non si muove da casa».

Ma in fondo era quella la passione di Nicola, il mare: «Lo stabilimento fa parte di me. Una volta discussi con i miei genitori e non andai al mare per una settimana, Mi ricordo che mi mancò l’aria. Ecco, al di là dell’aspetto economico, del mare sporco e della legge Bolkestein con cui rischiamo di finire tutti all’asta nel 2020, io lo stabilimento non riuscirei mai a venderlo. Oggi a mio figlio dico che se vorrà, c’è ancora tanto da cambiare e da innovare». È questo, con il suo sorriso, il testamento di Nicola. I funerali quasi certamente domani.

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