Pescara, strage di tartarughe sulle spiagge

Il presidente del Centro Cetacei Olivieri: «La mareggiata ha spinto le carcasse a riva, la morte quasi sempre causata dalle reti dei pescatori»

PESCARA. Passeggiare sulla spiaggia e imbattersi in una, due, tre, fino a dieci tartarughe marine morte. Uno scenario surreale che il presidente del centro studi Cetacei Vincenzo Olivieri traduce in «spiaggiamento straordinario» e che ha messo in allarme decine di cittadini che tra giovedì pomeriggio e ieri mattina hanno tempestato di chiamate la Capitaneria di porto. Colpa della mareggiata di questi giorni secondo lo stesso Olivieri che con il centro Cetacei si sta occupando, su incarico della Capitaneria, di classificare gli esemplari morti per specie di appartenenza, sesso, misure e stato di conservazione; parametri in base ai quali si evidenzia anche lo stato di conservazione delle carcasse per poi inviare quelle in migliore stato all’istituto zooprofilattico di Teramo che ne dovrà indagare le cause di morte.

«Non si può ancora dire che sia il caso delle tartarughe spiaggiate in questi ultimi due giorni lungo il tratto di costa tra Giulianova e Francavilla, perché vanno ancora eseguite le necroscopie», spiega l’esperto, «ma per quello che ci risulta, nella nostra zona la principale causa di morte delle tartarughe marine è dovuta all’interferenza con alcuni sistemi di pesca, soprattutto della piccola pesca, quella che utilizza le reti da posta. Si tratta di reti fisse, radenti la costa ognuna delle quali è lunga cinque chilometri. Considerando che ci sono trecento licenze di pesca solo tra Pescara e Martinsicuro, si può calcolare grosso modo, moltiplicando cinque chilometri per 300, che ci sono reti lunghe quattro volte la costa abruzzese. Sono dati molto approssimativi», sottolinea Olivieri, «ma che rendono bene l’idea».

Dunque, secondo il presidente del Centro studi cetacei che da 30 anni lavora a supporto di enti e istituzioni negli interventi sugli animali spiaggiati vivi, della riabilitazione e del loro rilascio in mare, ma anche di fare accertamenti e biometrie sugli esemplari morti per monitorare lo stato di salute delle varie specie, quello che si è verificato in questi giorni lungo i 70 chilometri di costa abruzzese va classificato come «uno spiaggiamento straordinario legato molto all’effetto della mareggiata che ha portato a terra gli animali morti che solitamente si decompongono in mare. Non tutte le tartarughe che muoiono in mare le ritroviamo sulla spiaggia», precisa ancora Olivieri.

Ma se appare chiaro che sulla spiaggia sono state spinte dalla corrente e dalle onde di questi giorni, resta da definire con certezza perché le dieci tartarughe Caretta caretta sono morte almeno negli ultimi dieci giorni a giudicare dall’esemplare in peggiore stato. Su questo Olivieri non si sbilancia, ma in attesa dell’esito delle analisi dell’istituto zooprofilattico, si affida alla statistica che vede proprio l’annegamento, dovuto alla cattura accidentale, la causa probabile di queste morti.

Un parere condiviso anche da chi in mare ci va quotidianamente da una vita, come l’armatore Massimo Camplone che come gli altri pescatori quasi settimanalmente si rapporta con il centro studi Cetacei. «Peschiamo 3, 4 tartarughe vive al mese», riferisce Camplone, «al Centro Cetacei ne mandiamo parecchie, ma ce ne sono anche di morte, che restano in mare e che poi, come in questo caso, la mareggiata porta a riva».

Ma perché muoiono? «Al 90 per cento la colpa è delle reti da posta, reti buttate a un miglio e mezzo dalla costa contro cui le tartarughe si vanno a sfragellare, ma poi ci sono anche i palancari, quelli che calano 20-30mila ami per ogni barca. La tartaruga va a mangiare e muore. Gli stessi palancari che poi, in quest’ultimo periodo, quando l’area ci era vietata», rimarca Camplone, «hanno distrutto tutto alla fossa di Pomo facendo razzìe di merluzzi, rospi e gallinelle. E forse queste tartarughe sono vittime proprio di quelle razzìe».

Ma in attesa di conoscere la verità sulla morte di questi begli esemplari tra cui anche uno di circa 40 anni spiaggiato all’altezza della Nave di Cascella, senza più la testa (recisa quasi certamente dai pesci) il dottor Olivieri non esclude che anche oggi nuovi esemplari potrebbero approdare, ultimi resti della mareggiata, sulla spiaggia pescarese.

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