Rapina nell'89, la dipendente era la stessa

Falsi finanzieri e bottino da un miliardo di lire. Accusati i Nar

 PESCARA. Questa volta la rapina l'ha sventata lei. Ventidue anni fa non arrivò a tanto ma riuscì a liberare se stessa e l'allora proprietario della Mancini Gold bucando a calci la porta del bagno in cui tre banditi vestiti da finanzieri li avevano rinchiusi. C'era sempre lei, Oriana Di Giacomo, durante la rapina miliardaria messa a segno l'8 giugno del 1989 in quella che allora era la sede della gioielleria, in piazza Sacro Cuore.  Una rapina di cui si parlò per tanto tempo. Perché il bottino era di tutto rispetto, certo, intorno al miliardo di lire, ma soprattutto perché di quel colpo fu accusato Luigi Ciavardini, terrorista dei Nar, i nuclei armati rivoluzionari di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, oggi condannato in via definitiva insieme a loro per la strage alla stazione di Bologna.  Anche quella volta era estate. Una mattina di giugno, il 7, tre finanzieri si presentarono alla prima delle due porte che già allora i Mancini avevano. Chiesero di poter fare un controllo, si fecero aprire anche la seconda porta. A quel punto tirarono fuori le pistole, legarono i polsi delle uniche due persone che c'erano, Oriana Di Giacomo e il padre di Antonio Mancini, Mario, e li chiusero nel bagno.  Mentre uno dei tre finanzieri stava di guardia agli ostaggi gli altri due svaligiarono le tre cassaforti. Poi scapparono lasciando i due chiusi in bagno.  Oriana Di Giacomo e Mario Mancini bucarono la porta a calci. Poi lei passò dal foro e cercò di chiedere aiuto. Non ci riuscì e pensò bene di aiutare anche Mancini a passare dal buco e scendere con lui al piano di sotto in cerca di soccorsi.  «Secondo me la trama è di origine politica», disse il giorno dopo Mancini. E impressionato dall'eleganza e dallo stile di uno dei rapinatori spiegò: «Non aveva un accento particolare, non era di qui. Doveva avere la laurea».  Non si allontanò di molto dalla verità. Il 2 luglio con l'accusa di aver rapinato il suo negozio fu arrestato Ciavardini. Il Nar si professò da subito innocente: «Non venivo a Pescara dal 1980», quando mise a segno il colpo all'armeria Canegiani insieme ad Anna Venditti. Non gli credettero. Ciavardini fu condannato in primo grado a 12 anni. Ma in appello la sentenza venne ribaltata: l'ex Nar con la rapina non c'entrava niente. A essere condannato fu Horst Fantazzini, anarchico. (l.ve.)

© RIPRODUZIONE RISERVATA