Un gruppo di giovani pescaresi che terrorizzarono l’Abruzzo e le Marche con le loro imprese criminali<BR>

Rapine e omicidi, storia di una banda

Nel 1985 la fuga armata dal carcere di San Donato nel giorno del processo

 PESCARA. «Se a casa non si parlava di quello che facevano i miei fratelli, ne parlavano i compagni di scuola, i telegiornali, e per questo a dieci anni chiesi di andare via da Pescara». Un anno fa, Roberto Battestini sintetizzava così, in un'intervista al Centro, la sua adolescenza di fratello di due membri della Banda Battestini. «Fratelli» è anche il titolo che Roberto, 46 anni, uno dei migliori fumettisti italiani, ha dato al libro in cui racconta la storia sua e di Pasquale e Rolando Battestini. Italo Ceci di quella banda fece parte in un'altra vita, lontana più di trent'anni da quella dell'uomo che era diventato e spenta ieri nel sangue.  La banda, guidata da Rolando Battestini, pescarese ma nato a Giulianova, imperversò in Abruzzo e nelle Marche, tra la fine degli '80 e di cui faceva parte anche Valerio Viccei, il cervello della rapina del secolo, quella messa a segno, il 12 luglio 1987, a Londra nel caveau del Safe Deposit Center e che fruttò un bottino di 140 miliardi di lire.  Durante una rapina in una farmacia in provincia di Chieti alcuni membri della banda uccisero un passante. Nel corso di un altro colpo in una banca della provincia di Ascoli Piceno a rimetterci la vita fu, invece, una guardia giurata. Nell'aprile 1988 la Corte d'appello dell'Aquila condannò Battestini e alcuni complici a pene fra i 30 anni a un anno e mezzo di carcere. Nel 1990, in Corte d'assise a Macerata, un altro processo contro la banda si concluse con la condanna di Battestini a 15 anni per omicidio volontario e a 16 mesi per tentata rapina a mano armata. Battestini morì suicida nel 1992 nel carcere di Campobasso. Le prove che avevano permesso di arrestare lui e complici erano state fornite da alcuni pentiti, tra i quali anche Italo Ceci.  Ma a creare il mito - negativo - della banda è una clamorosa fuga armata dal carcere di San Donato a Pescara, il 29 gennaio del 1985. Muoiono in due, ma sei riescono a scappare: Francesco Patacca, Francesco Gentile, Massimo Ballone, Claudio Di Risio, Carlo Mancini e Raimondo Coletta. Solo Gentile non faceva parte della banda. In carcere stavano scontando pene fra i 9 e i 41 anni. Il giorno della fuga quattro di loro avrebbero dovuto comparire in aula nel processo contro i 24 componenti la banda.  Fra i fuggitivi c'è anche Massimo Ballone, pescarese, all'epoca 24enne. Catturato pochi giorni dopo la fuga, a Roma, Ballone sconta poi sette anni di carcere duro tra Pianosa, l'Asinara, e Badu 'e Carros. Ma evade di nuovo, dal carcere di Rebibbia. E dopo tre anni di latitanza viene arrestato in Belgio. Anche questa volta, però, Ballone riesce a evadere. Dopo soli tre giorni, fugge dal carcere di San Gil a Bruxelles e si rifugia in Venezuela, dove alla fine viene arrestato nel 1998 dall'Interpol italiana.  Estradato in Italia, Ballone, nel carcere di Sulmona, cambia vita. Scrive un libro autobiografico, «Al di sotto del cuore», si laurea, con 110 e lode, in Scienze dell'educazione all'università dell'Aquila con una tesi in criminologia sociale. Il titolo: «Responsabilizzazione e presa di coscienza nella pena». Nel 2003, sulla sua storia, il regista Massimo D'Anolfi gira un documentario: «Si torna a casa: appunti per un film». Scontata la pena, Ballone va a lavorare in una cooperativa di manutenzione di parchi a Pescara. Ma la sua storia - come quella di altri membri della Banda Battestini - è senza lieto fine. Nel 2006, infatti, mette a segno una rapina milionaria a un furgone blindato a Pescara. Viene di nuovo arrestato con l'accusa di preparare un colpo al caveau dell'Ivri di Sambuceto. L'obiettivo: 20 milioni di euro. Ma lui dal carcere si professa innocente.

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