Rigopiano, mai più lutti per ritardi e mancata prevenzione

Sul luogo del disastro per capire cosa è successo, parlare con i soccorritori e vedere cosa è rimasto del resort da sogno dove a causa di una valanga sono morte 29 persone

RIGOPIANO. Mai più morti prigionieri di una strada, di un albergo, vittime di un sistema che non sa ascoltare chi chiede aiuto; che non sa comunicare, tanto da dimenticare un allarme valanghe Meteomont rimasto in prefettura; che non sa prevenire. E che non sa curare e tutelare le sue montagne. Mai più la devastazione al posto di un resort a quattro stelle offerto come un paradiso e ridotto a un inferno. Dove tutto quello che resta della valanga di nove giorni fa sono 29 morti, trovati e portati finalmente via, e il silenzio della neve diventata immobile.

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Una scia di morte larga più di 500 metri, che lungo un canalone di oltre mille metri si spegne tra cumuli di tronchi larghi oltre due metri, rocce e macerie. E macchine a testa in giù trascinate via, lungo la strada. È quel che resta del resort, «quel che c’era nel resort», come indica Carlo Cardinali, funzionario del corpo nazionale dei vigili del fuoco che con il responsabile della comunicazione Luca Cari e i rappresentanti di tutte le forze che hanno partecipato alla gigantesca impresa di questi giorni, ieri ha accompagnato la stampa sulla tomba di ghiaccio che rimane. Una tomba sventrata dai soccorritori che da ieri stanno smobilitando il campo base a 500 metri dalla valanga, sgonfiando le tende riscaldate di esercito e ministero dell’Interno fino a due giorni fa rifugio dei soccorritori. Mentre restano le ruspe a liberare le 120mila tonnellate di detriti. E una ventina di uomini del soccorso alpino a vigilare su un rischio valanghe che ieri era 3 su 5 e che ancora obbligava a lavorare con l’Artva, l’apparato per il ritrovamento dei travolti nelle valanghe.

Hotel Rigopiano, con i vigili del fuoco sul luogo della tragedia
Otto giorni dopo sul luogo della tragedia. All'hotel Rigopiano di Farindola (Pescara), dove una valanga ha ucciso 29 persone tra clienti e dipendenti dell'albergo, i vigili del fuoco incontrano i giornalisti e mostrano il luogo delle operazioni di soccorso. Tra i tanti problemi incontrati, anche fughe di gas e detriti che hanno riempito i locali dell'edificio distrutto. (intervista Simona De Leonardis, video Giampiero Lattanzio)

Mai più Rigopiano, la sua valanga, le sue tragedie e questi nove giorni di lacrime e dolore chiusi da un bollettino che non ha bisogno di parole. Ventinove morti. Famiglie spezzate, bambini rimasti orfani e madri e padri che sotto la montagna, che s’è ingoiata quattro piani d’albergo, hanno perso i figli e tutta la vita loro.

«I corpi erano tutti insieme», riferisce l’ingegner Luca Verna, funzionario dei vigili del fuoco di Pescara, «la gran parte nella hall, in attesa e i dipendenti divisi tra il bar, la reception, la cucina, uno di loro in bagno. Nessuno nella spa, dove sì», ammette il vigile del fuoco che ben conosceva la struttura e il titolare Roberto Del Rosso, «forse si potevano salvare, perché è interrata nel cemento armato. È l’unico pezzo rimasto in piedi». Ma che ne potevano sapere, al resort Gran Sasso, i 40 che quel mercoledì pomeriggio aspettavano solo la turbina che gli liberasse la strada per tornarsene a casa?

Mai più che un albergo a 1.200 metri di altezza ai piedi della montagna rimanga isolato solo perché durante la notte ha tirato giù tanta neve quanta non se n’era mai vista. Mai più, perché quella nevicata era stata annunciata con un’informativa del Centro funzionale Abruzzo. E invece si è lasciato che la strada provinciale che porta dritto all’albergo rimanesse chiusa nonostante le richieste di un mezzo già dal giorno prima. E nonostante le sollecitazioni, partite dall’albergo, la mattina dopo. E non è bastato neanche il terremoto di quella mattina, tre scosse fino al primo pomeriggio, a creare un po’ di allerta su quella reggia diventata prigione per 40 persone. Neanche la comunicazione urgente dell’amministratore dell’albergo al prefetto, al presidente della Provincia, al comando della polizia provinciale e al sindaco di Farindola ha messo fretta a chi doveva intervenire. Fosse anche con qualche trattore. «I clienti sono terrorizzati dalle scosse sismiche», e ancora «non potendo ripartire per le strade bloccate sono disposti a trascorrere la notte in macchina». Ma niente. L’ultima promessa annunciava la turbina per le 19. Ma ha fatto prima la valanga, che da un dislivello di mille metri, poco prima delle 17 si è tirata giù mezza montagna. E il resort è diventato all’improvviso la tomba di ghiaccio che ha fatto il giro delle tv di tutto il mondo. Il resort simbolo di tutto l’Abruzzo, martoriato dalla neve e da migliaia di famiglie rimaste senza luce, e morti rimasti in casa per giorni, nelle piccole frazioni, perché per la neve non si poteva proprio uscire, e neanche il funerale si poteva fare.

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Mai più l’ha detto, in sostanza, anche il capo della protezione civile Fabrizio Curcio ieri mattina, durante la conferenza stampa al Com di Penne con tutti gli attori di questa enorme macchina dell’emergenza: «Che il sistema locale sia sotto pressione è evidente. Ma sui ritardi si vedrà che è successo, stanno approfondendo nelle sedi adatte. Noi rispondiamo del sistema che qui ha funzionato con mille operatori e al massimo della professionalità, con gente che si è spinta oltre il dovuto, con 5 metri di neve trovati sopra le macerie».

Ma è tutto quello che è successo prima che non può più riaccadere. Il superstite che per mezz’ora non riesce a mettersi in contatto con il 118 e il 112, l’amico a cui si rivolge che non viene creduto dalla funzionaria della prefettura, i soccorsi che alla fine partono alle 20, tre ore dopo la tragedia e che quando arrivano al bivio di Farindola rimangono bloccati perché quella stessa strada che chiedevano di pulire dall’albergo, è ancora bloccata. Perchè una turbina è rotta dal 6 gennaio e l’altra è ferma a Penne in attesa di ordini che non sono mai arrivati. E quando finalmente arrivano a smuovere il mezzo ci vogliono 15 ore perché i soccorsi possano finalmente raggiungere il luogo del disastro.

Tutta materia su cui sta lavorando la Procura, che indaga sui reati di disastro colposo e omicidio plurimo e che punta a risolvere anche un altro interrogativo: l’albergo lì ci poteva stare? Il corpo originario era stato inaugurato nel 1972, poi nel 2008 l’ampliamento con la spa, l’unico pezzo che non è crollato. Ma è sotto un canalone della montagna dove, tra il 1999 e il 2005 si erano verificate tre slavine a poca distanza. Si poteva prevedere questa valanga? E chi avrebbe dovuto farlo? A Farindola la commissione valanghe è stata cancellata dal 2005. C’è tutto questo, adesso, in quel silenzio di morte a Rigopiano. Dove resta il tetto dell’hotel, la spa, una staccionata, qualche coperta in mezzo alla neve e l’insegna che promette ancora benessere nel nome del Vate D’Annunzio. E restano l’imprudenza, le leggerezze, i ritardi, i bollettini mai arrivati e tutti i rimpalli di competenze e responsabilità venuti a galla uno dopo l’altro.

Mai più. Mai più.

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