Rigopiano, s’indaga sui tempi dei soccorsi, e spunta la seconda telefonata 

I carabinieri avevano segnalato l’allarme di Marcella prima della richiesta di aiuto respinta dalla funzionaria

PESCARA. Non si concluderanno a breve le indagini sulle 29 morti di Rigopiano. Contrariamente a quanto ipotizzato a metà ottobre dal procuratore capo Massimiliano Serpi, l’inchiesta non potrà essere chiusa in concomitanza con il primo anniversario della tragedia del 18 gennaio, perché altro ancora c’è da approfondire. In particolare, il lavoro dei carabinieri forestali si sta concentrando sulla mancata realizzazione della carta di localizzazione dei pericoli da valanga, imposta da una legge regionale del 1992 e mai messa in atto e, anche, sui tempi con cui il 18 gennaio è stata avviata la macchina dei soccorsi. Non a caso, a metà novembre, pochi giorni prima che scattassero i 23 avvisi di garanzia per omicidio e lesioni colpose, alcuni degli undici sopravvissuti alla valanga sono stati sottoposti a visita medica. Accertamenti chiesti e disposti dalla Procura per poter valutare se, e in che modo, i ritardi nel far partire i soccorsi abbiano influito sulla gravità delle lesioni riportate. In particolare per il più grave dei feriti, Giampaolo Matrone, tirato fuori dalle macerie dopo 60 ore, oltre al caso di Paola Tomassini morta dopo 40 ore sotto le macerie. Una ricostruzione che parte dall’analisi delle telefonate che tra le 17 e le 19 di quel giorno Giampiero Parete - appena scampato al disastro - e il datore di lavoro Quintino Marcella che Parete contatta disperato via whatsapp - fanno a ripetizione ai carabinieri, al 118 e alla polizia prima di venire smistati alla sala operativa della Prefettura. È proprio qui che si stanno concentrando gli investigatori.
Oltre all’allarme respinto dalla funzionaria della Prefettura che alle 18,20 non credette a Marcella al punto da dirgli «la mamma degli imbecilli è sempre incinta», ce ne sarebbe un’altra che avrebbe ulteriormente rallentato i soccorsi. Una telefonata delle 18, tra i carabinieri e la sala operativa della prefettura di cui dà conto il comandante provinciale Marco Riscaldati al prefetto Francesco Provolo nel corso della riunione tecnica convocata a Penne il 24 gennaio scorso. Una telefonata durante la quale «l’operatore dei carabinieri», come si legge nell’informativa agli atti, «aveva interloquito con il signor Marcella e successivamente aveva comunicato il contenuto della conversazione alla sala operativa presso il Ccs». Ma chi e perché non diede peso a quell’allarme respinto definitivamente 20 minuti dopo dalla funzionaria? È anche su questo che sta indagando la Procura. (s.d.l.)