Rigopiano: «Suo figlio è vivo, al caldo» S’indaga sul trauma ai genitori di Stefano

In Procura la perizia medica sui coniugi Feniello per l’annuncio errato. Nessuno poi è andato a dire loro che invece il ragazzo era morto

PESCARA. Nessuno gli ha mai detto che si erano sbagliati. Dopo avergli comunicato che il figlio era vivo e che addirittura lo stavano alimentando e riscaldando mentre i soccorritori stavano scavando un tunnel per recuperarlo in sicurezza, nessuno poi è andato a dirgli di non aspettare più perché Stefano era morto. Così per quattro giorni, dalla sera del 20 gennaio e fino al 24 gennaio quando la foto dei tatuaggi di Stefano mostrata dai carabinieri al fratello mise fine a quell’altalena emotiva. Innescando, però, gravi conseguenze psicologiche sui due genitori. Lo scrive il dottor Andrea Aielli, lo specialista che dopo due mesi di incontri con Alessio Feniello e Maria Perilli, ha redatto e firmato la perizia che ora è parte della memoria al vaglio della Procura. Una memoria presentata due giorni fa dal legale della famiglia, l’avvocato Camillo Graziano il quale, con quanto prodotto, chiede ora ai carabinieri forestali, a cui aveva già presentato una querela a riguardo lo scorso giugno, di valutare la sussistenza del reato di lesioni colpose nei confronti dell’allora prefetto Francesco Provolo, della sottosegretaria Federica Chiavaroli e della funzionaria a cui il prefetto, dopo il discorso ai familiari in attesa disperata di quelle notizie, passò il microfono per i nomi. Per poi chiamarla a rileggere l’elenco un’ora dopo davanti alle telecamere, ma quando il nome di Stefano Feniello era già sparito.
Di nuovo, rispetto alla querela presentata dal legale a giugno, c’è il danno psicologico esistenziale evidenziato dalla diagnosi medica richiesta dagli stessi investigatori che nella loro informativa arrivavano a ipotizzare il reato di lesioni volontarie, e non semplicemente colpose, in quanto «causabili anche da un’azione morale». E ancora, di nuovo c’è la strada avviata dalla famiglia per la richiesta di risarcimento. In sede civilista o alla fine del procedimento penale se la Procura valuterà la possibilità di avviarlo.

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La ricostruzione di quel giorni infernali è tutta nell’informativa dei carabinieri forestali che hanno riportato la denuncia dei Feniello (con il video recuperato sul sito del Centro), della prima falsa comunicazione fatta dall’allora prefetto. «Siamo riusciti a farli parlare e a farci dire i loro nomi», disse nel tardo pomeriggio del 20 gennaio Provolo ai familiari riuniti nell’aula magna dell’ospedale, «loro stessi hanno parlato con i soccorritori e hanno detto mi chiamo Tizio, Caio e Sempronio. Vi leggiamo i nomi di queste persone che stanno per essere aiutate a uscire». E furono fatti i cinque nomi tra cui quello di Stefano Feniello. Una festa. Seguì una successiva comunicazione, quella davanti alle telecamere dell’elenco aggiornato senza Stefano, ma nessuno avvertì o diede spiegazioni ai genitori che alle 4 e mezza del mattino successivo erano di nuovo in ospedale ad aspettare l’arrivo dell’ambulanza con il figlio dentro. Alle 10 non era ancora arrrivato e a quel punto Alessio Feniello avvicinò il prefetto chiedendogli novità sul figlio. Per sentirsi rispondere, come riferisce il genitore nella sua denuncia: «Mi ricordo di lei ho già parlato ieri sera, se ho novità ve le vengo a dire». Ma di novità neanche l’ombra fino alla nuova bella notizia, quella che la madre di Stefano si sente dare poco dopo dal sottosegretario Chiavaroli durante la visita in ospedale, ai parenti dei dispersi. «Mi avvicinai a lei urlando perché volevo parlarle», racconta agli investigatori Maria Perilli, «la Chiavaroli a mia domanda sul perché mio figlio non era ancora arrivato mi rispose “signora stia tranquilla suo figlio era in un posto difficile e pericoloso da recuperare, i soccorritori stanno scavando un tunnel dal lato opposto per recuperarlo in sicurezza”. Io le dissi che ero preoccupata per il freddo che stava soffrendo mio figlio. Lei mi rispose testualmente: “Signora lei deve stare tranquilla poichè suo figlio è alimentato e riscaldato». Io gli chiesi ancora su come era possibile alimentarlo e riscaldarlo e lei mi rispose “loro sanno quel che fanno”. Ho chiesto scusa per gli strilli iniziali e da lì sono stata tranquilla per due giorni insieme a mio marito in attesa di rivedere mio figlio». Ma al 23 gennaio non c’è ancora nessuna notizia. Moglie e marito a quel punto vanno al Coc di Penne a chiedere notizie del figlio, ma il vigile del fuoco con cui parlano dice di non saperne nulla. Devono aspettare il giorno dopo, il 24, quando i carabinieri mostrano al fratello Andrea i tatuaggi e gli effetti personali di Stefano, per avere finalmente la verità.
È questa altalena di emozioni - è morto, è vivo, sta per tornare a casa, forse non è vero, anzi è vero, ci vuole ancora tempo, è morto - che secondo lo specialista non ha permesso alla famiglia di elaborare il lutto. «I componenti della famiglia Feniello sono fermi alle prime due fasi del lutto fisiologico, quelle dello shock, in cui si ha la sensazione che la perdita non sia reale, e della smania per la forte consapevolezza della perdita. Ma mancano le due fasi successive, della disperazione e della riorganizzazione. «Senza possibilità di poter vivere la propria disperazione, cercano spaspodicamente di riempire il vuoto fisico, psicologico ed emotivo attraverso una battaglia che non avrà mai fine. Una battaglia», scrive lo specialista, «innescatasi anche e soprattutto per l’illusione provata dalla falsa notizia». Il figlio morto due volte diventa «una beffa insuperabile oltre il lutto».
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