San Giovanni Teatino, gli abusi dell'allenatore sui bimbi salgono a sei

Un ex allievo di Furgiuele racconta al Centro le prime denunce e l’inchiesta archiviata nel 2011: un ragazzino cambiò versione, un altro non fu ritenuto credibile

SAN GIOVANNI TEATINO. «L’altra volta ci dissero che era tutto un fraintendimento, che qualcuno aveva parlato male, che avevano sbagliato. E lui tornò ad allenarci quasi subito». A parlare con il Centro è un ragazzo non ancora diciottenne che nel 2011 era compagno di squadra di uno dei due bambini che per primi denunciarono per molestie l’allenatore di baseball Riccardo Furgiuele, il 51enne finito in carcere mercoledì su richiesta della Procura di Chieti con l’accusa di violenza sessuale aggravata su minore.

Un caso, quello del 2011, di cui si occuparono i carabinieri di San Giovanni Teatino ma che finì archiviato. Perché uno dei bambini cambiò versione e l’altro non fu ritenuto credibile. E mentre Furgiuele tornò ad allenare la squadra di baseball di Sambuceto, scagionato da molti dei piccoli atleti dello stesso team chiamati a testimoniare dai carabinieri, i due ragazzini (che lo denunciarono la prima volta) smisero di frequentare il campo. Ma rimasero tutti gli altri compagni i quali, con le loro famiglie, continuarono a fidarsi di Furgiuele. Perché all’oscuro dell’inchiesta poi archiviata e inconsapevoli dei motivi di quella sua breve assenza. Come racconta il testimone di allora, «la società ci disse che era stato tutto un fraintendimento». In altri casi, riferisce un genitore, «l’abbiamo saputo tanto tempo dopo, di ciò che accadde nel 2011 era al corrente solo il presidente».

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Le accuse dei genitori. Oggi che quello stesso allenatore è accusato di nuovo di reati a sfondo sessuale sui bambini, e per questo è finito in carcere su ordine del gip Antonietta Redaelli. C’è rabbia e sgomento tra i genitori che in questi sei anni hanno continuato ad affidare a Furgiuele i propri figli. «Ci è caduto un macigno addosso», dicono stravolti, «l’abbiamo visto al campo fino a domenica. Era taciturno, non parlava contrariamente al solito, ci è sembrato strano. Ma mai avremmo pensato a questo». Uno sbigottimento che giovedì si è tradotto nella paura e nelle accuse alla società e al presidente che ha ascoltato e ha tentato di giustificarsi con le lacrime agli occhi: «Perché sei anni fa avete sminuito, perché non ce l’avete detto? Gli abbiamo lasciato i nostri figli. Come facciamo a non pensare al peggio? Come facciamo a non pensare che se è risuccesso, sia tutto vero?».

leggi anche: Chieti, l'allenatore di baseball non risponde al gip Questa mattina Riccardo Furgiuele, arrestato con l'accusa di violenza sessuale aggravata su minore, è comparso davanti al giudice per l'interrogatorio per 20 minuto ma senza rispondere alle domande. Dai genitori e dai piccoli le accuse su quanto avveniva negli alberghi durante le trasferte o al bar sotto gli spalti del campo dopo gli allenamenti

Salgono le denunce. Nel frattempo, ed è su questo che stanno lavorando gli investigatori della Mobile di Chieti diretti dal vice questore Francesco Costantini e coordinati dal pm Giuseppe Falasca, stanno emergendo nuove testimonianze e importanti riscontri. Tanto da far ritenere che i primi tre casi finora denunciati, due per violenza sessuale e uno per atti di libidine tra cui quello del bambino di otto anni che ha fatto scattare le indagini e l’arresto dopo il certificato medico dell’ospedale di Chieti ad attestare le lesioni subìte, rappresentino solo la punta dell’iceberg. Lo testimoniano i genitori che si stanno facendo avanti dopo aver letto i primi articoli apparsi sul Centro con il nome e la foto dell’allenatore dei propri figli. Ai quali, dopo aver letto, padri e madri hanno chiesto: «Anche a te l’ha fatto?». E in qualche caso, almeno altri tre, la risposta dei bambini è stata concorde: «Sì, anche a me».

La trasferta nelle Marche. Un materiale delicatissimo per un’accusa terribile e tutta da dimostrare. Per questo gli investigatori procedono in maniera cauta e puntuale, andando a cercare i riscontri a tutti i fatti  riportati dai tre bambini finora ascoltati alla presenza di un neuropsichiatra. Tra questi racconti c’è quello relativo a un torneo nelle Marche la scorsa estate e di quattro bambini affidati in quell’occasione a Furgiuele anche per la notte in albergo. Di questi, uno avrebbe riferito di aver subìto proprio in quell’occasione le attenzioni particolari dell’allenatore. I poliziotti sono andati a controllare il registro dell’hotel. E sarebbe risultato esattamente che tre bambini erano stati registrati in una stanza e uno nella stanza con l’adulto. Con Furgiuele.

Telefonini e X-box. Sempre presente, disponibile, pronto a soddisfare necessità e desideri dei suoi piccoli atleti tanto da organizzargli, in qualche caso, perfino le feste di compleanno. Così viene descritto l’allenatore che però, nel caso dei bambini che lo accusano, si sarebbe spinto oltre, arrivando a regalare anche telefonini e X-box. Un dettaglio non da poco per l’accusa, che sta arrivando a ipotizzare che quei regali fossero il premio, o l’esca dell’adulto, in cambio di sesso e silenzio da parte dei piccoli. Come le bibite di cui ha raccontato qualche altro bambino, che l’allenatore offriva a qualcuno di loro dopo l’allenamento. Per averle, bisognava seguirlo nel baretto del campo di Santa Filomena. Il barretto chiuso di cui Furgiuele aveva le chiavi. E dove si ipotizza che sarebbero avvenuti gli abusi.

La testimonianza. Accuse tutte da verificare, soprattutto perché, come riferisce ancora l’ex compagno di squadra di uno dei ragazzini che denunciarono l’allenatore nel 2011, «è sempre stato molto generoso. Riccardo ci portava dappertutto, ci faceva partecipare a tanti tornei tanto che dalle sue squadre sono usciti quattro nazionali. Fin da piccoli ci portava ovunque a giocare. Parma, Bologna, Firenze, a volte ci pagava anche l’albergo, a volte ci portava al Mc Donald’s e pagava lui. I regali sì, qualche volta li faceva, anche se mai telefonini. Ma molti dei nostri ragazzi sono venezuelani, cubani, magari non stanno molto bene economicamente e lui gli dava una mano. Ma non ho mai visto niente di strano, lo dissi pure ai carabinieri quando mi convocarono all’epoca insieme ai miei genitori».
«Riccardo viveva per la squadra, per il baseball e per questa società», aggiunge una mamma. «Talmente disponibile che con il pullmino, se non con la sua macchina, capitava che andava a prendere lui stesso i ragazzi, e li riportava a casa dopo l’allenamento».

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