Sanitopoli, il verdetto finale: «Nessuna cupola, solo tangenti occasionali» 

Del Turco, le motivazioni dell’assoluzione per l’associazione a delinquere. In 4 righe i giudici di Perugia riscrivono l’inchiesta: illeciti frutto di approfittamento di situazioni, non di accordo programmatico

PESCARA. Quelle tangenti non erano studiate a tavolino ma occasionali come una busta con le mele portata in casa dell’ex governatore, Ottaviano Del Turco.
Il verdetto finale della Sanitopoli d’Abruzzo è motivato in 28 pagine scritte dai giudici della Corte d’Appello di Perugia ai quali bastano quattro righe per riscrivere l’inchiesta che, dieci anni fa, ha cambiato la storia dell’Abruzzo e degli abruzzesi.
Il passaggio chiave si trova quasi a metà di pagina 22 della sentenza: «Tutto ciò fa propendere per la occasionalità/episodicità dei vari eventi illeciti, frutto più dell’approfittamento della situazione che si era venuta a creare, piuttosto che di un programmatico accordo tra gli imputati». Sostengono questo i giudici Giancarlo Massei, Andrea Battistacci e Fabio Massimo Falfari, chiamati dalla Cassazione a pronunciarsi solo sulla sussistenza del cosiddetto vincolo associativo nei confronti di cinque imputati: Del Turco, ex presidente della Regione dal 2005 al 2008; Camillo Cesarone, ex consigliere regionale del Pd; Lamberto Quarta, ex segretario di giunta; Bernardo Mazzocca, ex assessore alla Sanità e Antonio Boschetti, anch’egli ex assessore regionale. Ma ci sono anche altri passaggi che smontano questa parte dell’accusa. «E’ solo risultato che Vincenzo Angelini (ex re delle cliniche private, ndr) aveva eseguito varie illecite dazioni a Del Turco, con il concerto di Cesarone, ma non vi è modo di ritenere che esse furono frutto di un preordinato disegno», scrive la Corte. E ancora: «Quarta non è risultato colpevole e partecipe di nessuno dei reati-fine». E poi per quanto riguarda Mazzocca: «E’ significativo che lui sia stato giudicato colpevole di un solo episodio di induzione illecita, reato che ben poteva essere occasionale o isolato e non in grado di dare prova dell’esistenza dell’associazione a delinquere». E infine Boschetti verso il quale la Corte afferma: «Ancor meno argomenti, in senso accusatorio, possono trarsi dalla posizione di Boschetti».

Per di più, a pagina 21 della sentenza, viene anche riscritta la storia del grande accusatore Angelini che secondo i giudici di Perugia: «Aveva aspettative di favori, ma non vi è prova che tali favori siano stati mai conseguiti». E quindi, conclude la corte perugina: «Venuta meno l’ipotesi di un complesso accordo tra gli imputati per favorire illecitamente Angelini, non restano dimostrati che pochi reati-fine per i quali vi potrebbe ben essere stato l’occasionale approfittamento di condizioni favorevoli».
Nessuna cupola o regia politica quindi si sarebbe celata dietro alla Sanitopoli abruzzese, ma semplici episodi corruttivi frutto di circostanze oppure occasioni, e non di una organizzazione politico-criminale che gestiva la sanità regionale. In questo modo i giudici ribaltano per l’ennesima volta una sentenza che già la corte d’Appello dell’Aquila aveva modificato sostanzialmente cambiando il reato di concussione per coercizione, cioè per ricatto, nella meno grave induzione a pagare tangenti.
Alla luce dell’ultima sentenza, le pene restano di 3 anni e 11 mesi per Del Turco e di 3 anni e 9 mesi per Cesarone, così stabilite perché ritenuti colpevoli, in concorso tra di loro, di cinque «illecite induzioni del privato (Angelini) a versare cospicue somme, ammontanti complessivamente a 850mila euro». Per Mazzocca, invece, 2 anni di reclusione per un solo reato «avendo indotto Angelini ad assumere nove persone pur non avendone la necessità imprenditoriale». Mentre Quarta e Boschetti restano assolti da ogni imputazione.
La sentenza è definitiva ma dev’essere ancora messa in esecuzione. Del Turco, ultrasettantenne, può, in ipotesi, chiedere l’affidamento ai servizi sociali, essendo la sua pena inferiore ai 4 anni. Degli altri due imputati, Cesarone e Mazzocca, solo il primo rischia di scontare la pena detentiva. Ma nel caso dell’ex consigliere teatino del Pd è tornata in campo la difesa, l’avvocato Marco Femminella, che annuncia un ulteriore ricorso in Cassazione: un quinto grado di giudizio che dovrebbe stabilire se l’assoluzione dal reato associativo fa decadere la concussione per induzione. In sintesi, lo scollamento tra il primo secondo grado di giudizio, per quanto riguarda il tipo di reato rimasto in piedi, crea, secondo il difensore, un varco su cui fare l’ultima leva.