Se il matrimonio va in crisi: grazie a Dio ti lascio

Così in Abruzzo aumentano le cause di annullamento del sacro vincolo

PESCARA. C’è chi desidera uscirne perché non vede l’ora di riprovarci. E chi vorrebbe cancellare tutte le tracce di quel matrimonio, come se non fosse mai esistito, e non si accontenta del divorzio civile. Sta di fatto che anche in Abruzzo e Molise, il territorio di competenza del Tribunale ecclesiatico regionale (Teram), le cause di annullamento del sacro vincolo sono in costante aumento. Ben 132 quelle iscritte a ruolo nel 2016, che si sommano alle 280 ancora pendenti, a fronte di 145 sentenze emesse, tra le quali solo 6 a favore del mantenimento del vincolo matrimoniale.

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La diocesi abruzzese nella quale si “annulla” di più è quella di Chieti-Vasto, con 36 sentenze concluse, seguita da Pescara-Penne (35), Teramo-Atri (24), Lanciano-Ortona (13), Sulmona-Valva (6), L’Aquila (5) e Avezzano (1). Convivenza coniugale breve, aver procurato un aborto o aver abortito perché non si desiderava il figlio che invece il partner voleva, aver nascosto la propria sterilità o la volontà di non procreare, aver taciuto di essere portatori di una malattia contagiosa. Tutte cause per le quali, si può chiedere l’annullamento religioso, come anche la presenza di un’altra relazione sentimentale nel momento in cui ci si accingeva a pronunciare il fatidico “Sì”. Oppure ancora, la mancanza del consenso di uno dei due coniugi, includendo in questa fattispecie anche la riserva mentale e la simulazione, l’errore sulla persona, la violenza fisica o il timore, quando si sia in presenza comportamenti intimidatori da parte di uno dei due coniugi sull’altro.

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Ma il motivo più ricorrente, in Abruzzo e Molise, è quello del «grave difetto di discrezione di giudizio», un capo di nullità con il quale sono state definite 86 sentenze. Seguono «l’esclusione dell’indissolubilità del vincolo» (62), l’incapacità «ad assumere gli oneri matrimoniali essenziali» (34), l’esclusione della prole (20), il «timore grave» (2). In deciso ribasso, anche perché molto difficili da provare e sostenere in giudizio, tanto civile quanto religioso, le cause legate all’infedeltà del partner. Un concetto, sottolinea l’avvocato Giuseppe Orsini, di chiara matrice cattolica, ma codificato anche nell’articolo 143 del codice civile. Anche chi si sposa in Comune, dunque, sottoscrive l’impegno a non tradire il partner, ma c’è già, in Parlamento, una proposta di legge presentata dalla senatrice Pd Laura Cantini che vorrebbe l’abrogazione di quell’articolo. Se dovesse essere approvata, si potrebbe sdoganare il concetto delle “corna” anche in ambito legale per le coppie etero. Obbligo, quello della fedeltà, assolutamente non previsto per le coppie omosessuali nella legge Cirinnà sulle unioni civili. La stessa Cassazione, del resto, ha statuito che «il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà coniugale».

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Anche la giustizia ecclesiatica, al pari di quella civile, si evolve. E così, se oggi in Italia è possibile divorziare civilmente in tempi abbastanza rapidi (con il divorzio breve è possibile farlo anche in accordo davanti all’ufficiale dello stato civile), i tempi si accorciano notevolmente anche davanti al tribunale ecclesiatico, specie dopo la riforma introdotta da Papa Bergoglio. Innanzitutto, spiega ancora l’avvocato Giuseppe Orsini, è stato eliminato l’obbligo della doppia sentenza conforme. In parole povere, sia il tribunale ecclesiastico regionale, sia quello di secondo grado, dovevano giungere alla stessa conclusione. Prima della riforma, infatti, c’era bisogno di due gradi di giudizio, e in caso di non conformità a dirimere la questione doveva essere obbligatoriamente la Sacra Rota. Volendo tentare un parallelismo con la giustizia ordinaria, una sorta di corte di Cassazione. Con la riforma, invece, il primo grado dovrà durare al massimo un anno, e la sentenza sarà esecutiva se non ci sarà appello. Tempi più brevi, e addirittura concorrenziali rispetto alla giustizia civile che determineranno, e in parte lo stanno già facendo, un aumento esponenziale delle cause di annullamento. Un fenomeno sottolineato dal vicario giudiziale, don Antonio De Grandis, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2017. Moderatore del tribunale è monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne. Volendo tentare ancora lo stesso parallelismo con la giustizia civile, monsignor Valentinetti è il “presidente” del tribunale.

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