«Sfruttati e malmenati dentro l’azienda»

La Flai Cgil segnala casi di caporalato in una ditta di carni: vittime quattro pakistani. Denunciato il datore di lavoro

PESCARA. Molti tacciono, non denunciano. Pur di lavorare e portare a casa uno stipendio accettano di pagare un “caporale” e di essere sfruttati. Ma c’è anche qualcuno che ha il coraggio di alzare la testa e di chiedere aiuto al sindacato, nel tentativo di vedere riconosciuti i propri diritti. Hanno detto basta alle irregolarità quattro pakistani che, tra il 2015 e i primi mesi di quest’anno, hanno lavorato in una ditta che si occupa di carni, in provincia di Pescara.

I quattro sono arrivati in quell’azienda grazie ad un caporale, un irregolare, «che prima stava a Brescia e poi è venuto qui», racconta uno dei giovani stranieri che si è rivolto alla Flai Cgil dopo una lunga odissea. Ha lavorato circa un anno e ha dovuto versare il primo stipendio al caporale, circa 500 euro, dopodiché gli altri stipendi arrivavano sempre in ritardo, all’incirca di un mese. «Il contratto», dice, «prevedeva circa 5 ore al giorno, per 5 giorni a settimana e invece lavoravo 10 - 11 ore, sei o sette giorni a settimana e lo stipendio è stato prima di 475 euro e poi di 575 euro. Ho chiesto di essere pagato per le ore in più in azienda e mi è stato risposto che avremmo fatto i conti alla fine dell’anno», ma questo momento veniva continuamente rinviato fino a quando il datore di lavoro ha fatto sapere ai quattro che potevano anche starsene a casa. Questi pakistani hanno deciso di rivolgersi alla Cgil e a quel punto Luca Ondifero, che guida la Flai da qualche mese, ha contattato l’azienda, inviando una lettera.

È stato allora che si è verificato un episodio molto preoccupante. Uno dei quattro pakistani, anche lui sottopagato, è tornato in azienda ed è stato picchiato, al punto che sono intervenuti i carabinieri e lui è finito in ospedale, con una prognosi di 5 giorni. Capendo che non c’erano più le condizioni per andare avanti, i quattro si sono dimessi per giusta causa e hanno fatto domanda di disoccupazione ma gli è stata negata. «La loro storia è emblematica», commenta Ondifero, «perché quando hanno avuto il coraggio di chiedere al datore di lavoro il riconoscimento di alcuni elementi basilari minimi e la corresponsione delle somme effettivamente dovute, gli hanno detto di andare via, perché c’erano altri pronti a farsi sfruttare. Al danno, poi, si aggiunge la beffa, perché i quattro sono stati costretti ad andare via, perché era insostenibile andare avanti di fronte alla minaccia fisica». Il sindacato si è mosso in tutti i modi per far emergere questa storia e far valere i diritti dei quattro pakistani.

Oltre alla querela per l’aggressione è stata presentata la denuncia ai carabinieri dell’Ispettorato del lavoro per segnalare le irregolarità subite e il caporalato, è stata avviata la vertenza per il recupero delle somme dovute ed è stato presentato un ricorso all’Inps per ottenere la disoccupazione.

«Le indagini sono in corso e confidiamo che ci siano degli interventi per evitare che continuino ad accadere fatti simili», si augura Ondifero lanciando un appello alle istituzioni. A fronte di queste persone che si sono fatte avanti «ce ne sono altre centinaia che non riusciamo a intercettare, per mille motivi», dice il sindacalista facendo notare che molti pensano al caporalato come a un fenomeno tipico di «territori distanti da noi e invece non è così».

La Flai (Federazione lavoratori agroindustria) non è sola in questa battaglia. «Tutta la Cgil», dice la segretaria Emilia Di Nicola, «è impegnata per garantire la legalità sui luoghi di lavoro, contrastare il lavoro nero e lo sfruttamento degli immigrati e per ristabilire regole certe».

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