Teramo, la multinazionale giapponese agli operai "Se volete lavorare dovete trasferirvi in Turchia"

La Ykk, azienda che produce bottoni nell'area industriale di Colonnella, ha dato ai dipendenti un’alternativa ai licenziamenti: devono spostarsi nella fabbrica di Istanbul e, naturalmente, imparare il turco. Se non fossero in gioco 12 posti di lavoro sui 47 totali, forse qualcuno avrebbe anche sorriso 

TERAMO. Di questi tempi tutto è possibile. Anche sentirsi proporre, in alternativa ai licenziamenti, un trasferimento in una fabbrica in Turchia. E a condizione di parlare il turco.

I dipendenti dello stabilimento della Ykk di Colonnella, di proprietà di una multinazionale giapponese, non l’hanno presa bene. Se non fossero in gioco 12 posti di lavoro sui 47 totali forse qualcuno avrebbe anche sorriso. La fabbrica che produce bottoni ha aperto ai primi di ottobre una procedura di mobilità per 12 operai. Nei giorni scorsi i lavoratori sono scesi più volte in sciopero per protestare contro la decisione dell’azienda, che non ha voluto prolungare il contratto di solidarietà in alternativa ai licenziamenti.

«L’azienda ha assunto una posizione rigida», spiega Giampiero Dozzi, segretario della Fiom Cgil, «continua a ripetere che i licenziamenti sono inevitabili. Dice che non ci sono possibilità concrete di riassorbimento in stabilimenti italiani e quindi ritiene di minimizzare l’impatto sociale attraverso il riassorbimento in Turchia. C’è il rischio che suoni come una presa in giro. Noi continueremo a proporre quantomeno un’alternativa in Italia». L’azienda ha infatti uno stabilimento simile a Vercelli. Mercoledì ci sarà un nuovo confronto con l’azienda, l’altroieri intanto si è tenuta un’assemblea dei lavoratori. «L’azienda non garantisce una gestione indolore della situazione», aggiunge Gianluca Di Girolamo, segretario provinciale della Uil, «la ricollocazione deve essere a livello nazionale, altrimenti è solo specchietto per le allodole. Sull’incentivazione siamo lontani da un vero incentivo per lasciare il lavoro in un momento di crisi. Ma soprattutto non condividiamo il rifiuto ad attivare la cassa integrazione o altri ammortizzatori che ci diano tempo per arrivare a una riduzione di organico. E peraltro non siamo sicuri che questo taglio consenta la futura gestione dello stabilimento: non garantirebbe una adeguata organizzazione del lavoro».

L’incentivo proposto per la mobilità volontaria è di 35mila euro. Non solo. «Vogliono proporci il ricorso a una società che si occupa della ricollocazione dei lavoratori in altre aziende», osserva Dozzi, «per senso di responsabilità, senza preconcetti, stiamo valutando tutto, con la crisi che c’è non diciamo no a nessuna proposta, ma che abbia almeno un senso. Il meccanismo di ricollocazione tramite agenzia lo prendiamo in considerazione, ma non credo possa risolvere tutto l’esubero. Può essere interessante se abbinato alla cassa integrazione, cioè con un percorso che non è al buio, per cui nella ricerca di un’altra occupazione, il lavoratore sia al sicuro».

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