Teramo, seimila senza casa per i danni delle scosse

I giorni terribili della provincia: il culmine a gennaio con maltempo e blackout E adesso l’incubo frane che hanno già causato lo sgombero di 400 cittadini

TERAMO. Da sei mesi il vocabolario dei teramani è pieno di due parole: “sgomberi” e “sfollati”. Ma più delle parole rendono l’idea i numeri: hanno dovuto lasciare le proprie case per danni da terremoto in circa seimila (tremila solo nel capoluogo, quasi mille a Montorio al Vomano su una popolazione di ottomila); durante l’emergenza neve-blackout sono state sfollate sulla costa 2.500 persone; per le frane risultano sgomberati al momento quasi 400 cittadini (140 a Civitella, 120 a Campli e un centinaio nel territorio di Atri), buona parte dei quali purtroppo non rientrerà mai nelle proprie abitazioni.

La serie nera. I sei mesi che hanno sconvolto la provincia aprutina, facendone un caso nazionale, sono cominciati la notte del 24 agosto. Da allora il lembo più settentrionale d’Abruzzo è stato flagellato da una serie di terremoti mai vista prima, da una nevicata che neanche i centenari riescono a ricordare – abbinata a un blackout di giorni (in alcune zone addirittura di settimane) e alla raffica di scosse del 18 gennaio – e, infine, da un’ondata di frane spaventosa. Morti da terremoto e frane non ce ne sono stati, mentre la grande nevicata ne ha fatti quattro (più migliaia di animali da allevamento massacrati nel crollo delle stalle). Ma non è, non può essere la conta delle vittime a rendere l’idea di quello che è successo. E quanto alla conta dei danni di questi flagelli, che il governatore D’Alfonso sollecita ogni giorno ai sindaci, adesso è impossibile. Perché le frane continueranno per mesi, perché è stata fatta solo una parte – più o meno la metà – delle verifiche sugli edifici lesionati dalle scosse e soprattutto perché i danni indiretti, quelli sull’economia già fragile del territorio, sono incalcolabili. E, alla lunga, saranno i più gravi.

Fuga dall’entroterra. «Non abbiamo avuto morti e crolli ma è una città tramortita, i numeri lo dicono». Così il sindaco di Teramo Maurizio Brucchi fotografa la situazione del capoluogo, dove proprio in questi giorni (vedi infografico) si sono superate le mille famiglie costrette ad andarsene di casa. Situazione comune a tutto l’entroterra teramano. I mille sfollati di Montorio fanno impressione, ma se andiamo a vedere i comuni meno popolosi i numeri restano da paura: 400 a Torricella Sicura, 380 a Civitella del Tronto, 274 a Valle Castellana, 264 a Tossicia, 184 a Isola del Gran Sasso, 150 a Bisenti e Cermignano, 130 a Cellino Attanasio, 125 a Penna Sant’Andrea, 113 a Notaresco, 93 a Colledara, 90 a Castelli e Montefino. A queste persone rimaste senza casa vanno aggiunte quelle che la paura del terremoto ha spinto lontano dai propri paesi, per lo più sulla costa. Un esodo difficilmente quantificabile, almeno adesso, ma che per molti non sarà temporaneo. Già da decenni molte cose (invecchiamento, carenza di servizi, viabilità disastrata, mancanza di lavoro) spingevano i teramani dell’interno verso le vallate e la costa. Il terremoto, e forse anche il senso di abbandono vissuto drammaticamente da queste comunità durante la nevicata e il blackout, accelereranno il processo.

La reazione. La fascia pedemontana rischia la desertificazione, il capoluogo rischia di perdere ulteriormente la propria identità, ed è questo che sta spingendo amministratori locali e cittadini a organizzare proteste comuni mai viste prima. La prima si svolgerà domenica tra Colledara e San Gabriele, organizzata dai cittadini dei centri gravemente danneggiati dal sisma ma esclusi dal cratere. La seconda coinvolgerà tutti e 47 i comuni, altre istituzioni, forze politiche, associazioni e categorie. Tutti a Roma il 2 marzo (si punta a tremila persone) per chiedere allo Stato di battere un colpo e di aiutare davvero Teramo. Che da sei mesi è sballottata dalla tempesta perfetta.

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