Uffici e negozi accanto al Cofa di Pescara, progetto sbloccato dai giudici

Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso presentato dalla società Pescaraporto di Milia e Mammarella. Ribaltata la decisione del Tar che aveva annullato i permessi per costruire. Ora ripartono i lavori

PESCARA. Dopo due anni di stop, possono ripartire i lavori per la realizzazione di uffici e negozi sulla riviera sud, accanto all’ex Cofa. Si tratta del progetto della società Pescaraporto di Milia e Mammarella, rimasto bloccato dal 2013 per una sentenza del Tar che aveva, di fatto, annullato i permessi per costruire, dando ragione al titolare del vicino hotel Regent. Ma ora il Consiglio di Stato ha ribaltato tale decisione accogliendo il ricorso di Pescaraporto per impugnare la sentenza. I giudici non hanno ritenuto fondate le ragioni dell’hotel Regent e, quindi, hanno giudicato erronea la decisione del Tar. È il tanto atteso semaforo verde che consente alla società di poter andare avanti con l’intervento dal costo, presumibile, di oltre 10 milioni di euro. Ma un primo via libera c’era già stato nel periodo di Natale dell’anno scorso, quando alcuni parlamentari avevano fatto approvare un emendamento alla Legge di stabilità che è una sorta di sanatoria perché consente di ottenere premi di volumetria in base alle norme del Decreto sviluppo. Norme che prevalgono sul piano regolatore e sui Piani particolareggiati. E la sentenza del Consiglio di Stato conferma questa linea.

I permessi rilasciati nel 2012. La vicenda comincia tre anni quando la Pescaraporto, di cui risultano soci la società Viana degli imprenditori Andrea e Luca Mammarella e la società Uropa di Ugo, Roberto e Paola Milia, figli di Giuliano Milia avvocato del presidente della Regione Luciano D’Alfonso, presentano un progetto di demolizione e ricostruzione per l’area ex Edison, accanto all’Ex Cofa. Il progetto prevede un albergo e uffici. Ma il 20 dicembre del 2012, la stessa società presenta al Comune un cambio di destinazione d’uso per uno dei tre fabbricati, da turistico-alberghiero, a terziario-direzionale.

Tre palazzi di sette piani. Il progetto prevede la realizzazione di tre palazzi alti 21 metri, di cui il primo con destinazione d’uso commerciale con 18 negozi; il secondo, con destinazione d’uso terziario-direzionale, ossia studi professionali e uffici; il terzo, dove era previsto un albergo, sempre uffici e negozi. Ma il Comune non rilascia il nulla osta per il cambio di destinazione d’uso perché, nel frattempo, vengono presentati due ricorsi al Tar.

Due ricorsi al Tar. Contro il progetto vengono presentati due ricorsi al Tar. Il primo dell’allora consigliere di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo, il secondo della società Angela, titolare dell’hotel Regent. Il primo viene dichiarato inammissibile. L’altro, invece, viene accolto. Nella sentenza, depositata il 27 maggio 2013, il Tar ritiene fondate le contestazioni della società Angela, in particolare per il fatto che la presunta vicinanza del futuro albergo creerebbe problemi commerciali all’hotel Regent. Inoltre, il progetto sarebbe in contrasto con le norme urbanistiche.

Una norma salva il progetto. Due giorni prima di Natale 2014, un emendamento alla Legge di stabilità rimette in gioco il progetto affermando il principio che le norme del Decreto sviluppo sui premi di volumetria prevalgono su prg e Piano particolareggiato 2. Questa interpretazione, secondo Rifondazione comunista, sarebbe una sorta di sanatoria che spianerebbe, di fatto, la strada alla successiva sentenza del Consiglio di Stato.

Semaforo verde in appello. Nel 2013, Pescaraporto presenta ricorso al Consiglio di Stato per impugnare la sentenza del Tar. Anche in questo caso il Comune si schiera in giudizio con la società di Milia e Mammarella. E dopo due anni, la sentenza. I giudici accolgono tutte le contestazioni di Pescaraporto e bocciano le decisioni del Tar, facendo così ripartire i lavori. In particolare, viene sfatato il concetto di vicinanza tra le due strutture alberghiere che danneggerebbe economicamente, a detta del Tar, l’hotel Regent. Secondo i giudici, l’hotel non aveva il diritto di contestare questo punto essendo distante 500 metri dal futuro albergo. «La legittimazione al ricorso», si legge nella sentenza, «non può di certo configurarsi allorquando l’instaurazione del giudizio appaia finalizzata a tutelare interessi volti nella sostanza a contrastare la libera concorrenza». Inoltre, il Consiglio di Stato non ritiene che vi siano state violazioni di norme urbanistiche, dato che ora, grazie a quell’emendamento chiarificatore, prevale su tutto il Decreto sviluppo.

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