UNA VECCHIA STORIA VERA

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«Quant'è?».

«Tre euro».

Cercando le monete nel portafoglio, passò distrattamente i gelati ai nipotini.

Uscito dal bar, l'ampia visuale lo immobilizzò sulla porta. Si rivide giocare; lì, vicino alla

fontana. Il ricordo delineò i contorni di quel bambino, per poi sfumarli, distratto dall'immagine di

una donna che si intravedeva in lontanaza. Stringendosi il petto con la mano, per raccogliere ogni

frammento di un cuore ormai sbriciolato, attraversava  la piazza.

«Trenta lire».

Il mento fiero, lo sguardo alto, il collo teso.

Gli occhialini, incastonati sul naso arricciato, sdoppiavano quei piccoli occhi socchiusi, che

quasi scomparivano tra le ombre del viso. Dal trono di legno, padrona di ogni oggetto e movimento,

l'ombra del medico dominava lo spazio circostante. Violentemente, sputò fuori le due parole, che si

scaraventarono sul viso di lei, schiaffeggiandola. La voce penetrò il solido silenzio e il rigido rigo

delle labbra traballò, al colpo verbale di suoni lustrati d'amaro veleno.

Trenta. Lire. Le parole le rimbombarono in petto. Il pensiero ossessivo sostituì presto il ritmo

del suo respiro e tenendosi la mano tra i seni, accarezzando quella ferita insanguinata, si affrettò

verso casa. Sfioravano appena la strada i piedi, avanzavando meccanicamente, mentre il resto del

corpo, rigido, li seguiva, trascinato dal loro ritmo.

Solo qualche giorno prima, i raggi del sole si srotolavano lungo i campi, rivestendoli di colore.

Le pecore di Rocco lo seguivano obbedienti, ma una, più curiosa, si allontanò dal resto del gregge,

inoltrandosi in un campo che non le apparteneva. Ma che ne poteva sapere, lei, che l'aver

oltrepassato quel confine avrebbe comportato problemi tanto gravi ai suoi padroni? Che ne poteva

sapere, lei, delle persone che, amando odiare, avrebbero riferito a don Gino l'accaduto?

«Se non vuoi che ti denuncio, mi devi portare...». Pausa. «Trenta lire».

Solo qualche attimo prima, mentre la pecora birichina si liberava dal solito tragitto, Lucia

preparava la cena nell'unica stanza della casa, chinata sul caminetto. Proiettata verso quell'unico

indispensabile rito di riunione familiare, immaginava l'immediato rientro dei figli. E invece, a

chiamarla, quella sera, venne Carmelina.

Dov'era il confine tra la quotidianità e la crisi? Provò a smembrare il tempo alla ricerca di una

linea inesistente, per poi comprendere che l'unica immutabile realtà era quel presente. Come

avrebbe mai potuto affrontare la denuncia del medico, lei che era solo una contadina? Quando lo

spiraglio del verde della sua casa si affacciò tra le mura, lasciò che il capo le si abbandonasse sul

petto; le gambe crollarrono e i suoi occhi sprigionarono un pianto straziante.

La sera, quelle lacrime si pietrificarono e le pietre le graffiarono dentro. Paralizzata, di fronte

al caminetto, percepiva l'eco dello stridere della matita. Poco più in là, Rocco, suo marito, annotava

numeri su numeri. Chissà se quelle fiamme avrebbero ancora assaporato l'abitudine della cena...

All'improvviso si accasciò e, inginocchiata sul freddo pavimento, lasciò che la disperata rabbia

lacerasse il pesante silenzio.

«Sant'ssim Sacramint, chelle suddisfazjune che dà 'vò euss dall'a mò e le figlira mì!1».

«Zio, ci porti alle altalene?».

Il medico del paese sorrise, afferrò la mano della piccola e attraversò la piazza. Avanzando nel

senso contrario di come aveva fatto sua madre molti anni prima, le andò incontro. In ogni passo, la

riabbracciò.

1 «Santissimo Sacramento, quelle soddisfazioni che deve avere lui, dalle a me e ai miei figli!».

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