Una vita da avvocato Ciprietti guida la lista dei 21 decani del Foro 

Venerdì mattina la consegna del riconoscimento dell’Ordine alla presenza del presidente del consiglio nazionale forense

PESCARA. «Perché ho scelto di fare l’avvocato? Perché mio padre, agente di custodia, mi disse che non aveva i soldi per mandarmi a Pisa a fare Ingegneria, quello che volevo fare. Mi disse non posso vendermi la casa per fari studiare. E allora mi iscrissi a Giurisprudenza a Teramo. Che poi era anche una cosa che mi piaceva da bambino, con papà che per lavoro vedeva giudici e tribunali». Sabatino Ciprietti oggi ha 72 anni e 44 li ha vissuti con la toga, interprete eccellente di una professione che l’ha portato a difendere nomi importanti della politica e dell’imprenditoria. Iscritto all’Ordine dal 27 febbraio del 1975 è lui (con 23 giorni di anticipo rispetto al collega Dante Angiolelli iscritto il 22 marzo 1975) il decano dei 21 avvocati che venerdì riceveranno la Toga d’oro, il riconoscimento che l’Ordine degli avvocati dà ogni cinque anni agli iscritti che abbiano toccato i 40 anni di anzianità professionale. La cerimonia è in programma venerdì alle 10,30 nell’aula magna del Tribunale dove, dopo i saluti del presidente dell’Ordine Giovanni Di Bartolomeo, interverranno il presidente del consiglio nazionale forense Andrea Mascherin, il consigliere nazionale Donato Di Campli (ex presidente dell’Ordine) e l’avvocato Franco Sabatini. «È un riconoscimento all’esempio», sottolinea il consigliere, e segretario dell’Ordine, Daniela Terreri, «fare l’avvocato è uno stile di vita e chi, come loro, è iscritto da 40, 45 anni all’albo vuol dire che non ha fatto solo l’avvocato, ma ha vissuto da avvocato». Prova ne è la storia professionale di Ciprietti.
Avvocato Ciprietti, quando ha cominciato?
Ho cominciato a fare pratica dall’avvocato Guido La Morgia subito dopo la laurea, avvenuta il 14 marzo 1971.
Ricorda ancora la data?
Sì perché successe una cosa incredibile: non sapevo, perché un mio amico si era dimenticato di dirmelo, che quel giorno dovevo discutere la tesi. Andai all’università a portare i volumi della tesi e vidi sull’elenco che ero l’ultimo del giorno.
Riuscì ad avvertire i suoi?
No, mi laureai da solo, nessuno sapeva niente.
E poi, come iniziò?
Mio padre mi consegnò subito all’avvocato Guido La Morgia che stimava tantissimo. Iniziai a fare pratica allo studio di via Marconi, un ricordo sempre immenso. Sono diventato procuratore il 27 febbraio del 1975. In studio all’epoca c’era già l’avvocato Emanuele Liddo, genero di La Morgia, di cui aveva sposato la figlia Ada; furono i miei testimoni di nozze. Dopo 3, 4 anni decisi di iniziare da solo. Avevo già due figlie e tanta necessità di lavorare.
Come andò?
Fu dura, venivo dalla gavetta e dovetti inserirmi con tanta difficoltà. Ma andò come mi aveva detto l’avvocato La Morgia quando mi salutò: non ti preoccupare che c’è sempre la Provvidenza.
E c’è stata?
Ce n’è stata tanta di provvidenza. Dopo un po’ incontrai il papà di Angelini (imprenditore della sanità ndr) e da lì iniziai a lavorare per lui, per la moglie, dopo che morì, e per il figlio Vincenzo. Ma fu un incontro casuale. Io difendevo il presidente della Pescara Portanuova calcio, Antonio Festa, imprenditore di Chieti che era anche vice presidente del Chieti calcio presieduto allora da Angelini senior. Festa gli chiese di darmi qualche pratica, ero giovane, e lui mi diede quella dello sfratto della società del Chieti calcio. Vinsi la causa e Angelini mi disse: da domani diventi il mio avvocato. Ma c’è stato un avvicendarsi di tantissimi clienti. Da oltre 20 anni sono il legale della catena Acqua&Sapone, sono diventato il legale di Spadaccini degli aerei, e con la Sorem ho vinto la causa contro la protezione civile e l’Airone per l’appalto dei canadair che partiva da 369 milioni di euro; ho difeso la Nenna D’Antonio, presidente della giunta regionale, il direttore della Asl di Chieti Mauro D’Eramo e il presidente della giunta regionale Vincenzo Del Colle. Una cosa da 60 miliardi, andò a finire alla Corte costituzionale e vincemmo con un’assoluzione, il 24 gennaio del 2008: fu bellissimo.
Un consiglio ai giovani.
Non bisogna avere timore reverenziale per nessuno, la difesa è espressione di democrazia. Io ho fatto causa anche a un magistrato e ho vinto. Mi mandò una lettera di complimenti con una poesia napoletana e una cassetta di liquori.
Chi seguirà le sue orme?
Ho due figlie che ora non esercitano e il maschio che studia alla Bocconi Giurisprudenza. È bravo, spero lui, ma a Milano.
Qualche rimpianto?
No perché la vita si divide in soddisfazioni e amarezze, è una battaglia quotidiana. È più bello quando si vince, ma anche quando si perde non bisogna mollare: io ho avuto sconfitte in primo e secondo grado e poi ho vinto in Cassazione.