L'ex presidente del Chieti calcio, Antonio Buccilli, durante la festa di promozione del 2001

L'INTERVISTA

Buccilli: io e il Chieti, una scelta d’istinto che oggi non rifarei 

L’ex presidente: «Nel calcio guai a farsi prendere la mano. La promozione in C1 e il colpo a Napoli tra i momenti più belli»

BISENTI. A distanza di 13 anni dal suo addio al mondo del calcio, ecco la verità di Antonio Buccilli, l’imprenditore pescarese che per otto anni è stato al timone del Chieti tra i professionisti. Dal 1998 al 2006. Otto anni di gioie, sacrifici e delusioni. Oggi, dopo aver festeggiato i 73 anni, vive a Bisenti e continua a seguire le attività commerciali. Conserva la parlantina e la grinta di sempre anche nello sfogliare l’album dei ricordi.
Buccilli, come prese il Chieti?
«Ero in corso Umberto, a Pescara, in uno dei miei negozi e lessi sul giornale che il Chieti era in vendita. Uscii fuori e incontrai il compianto direttore sportivo Luigi D’Amario. Gli chiesi notizie sull’argomento e la sera me lo ritrovai nel mio stabilimento balneare con Albergo, l’allora presidente del Chieti che era appena retrocesso nei dilettanti dopo aver perso i play out. Parliamo del 1998. Nel giro di pochi giorni concludemmo l’operazione».
Come?
«Albergo non pretese nulla e io mi accollai le spese necessarie per chiudere la gestione. Se non ricordo male circa 140 milioni di vecchie lire. Fui fortunato, perché dopo pochi giorni il Chieti venne ripescato in C2».

L'ex presidente del Chieti all'Angelini mentre palleggia con i suoi giocatori
Perché prese il Chieti?
«Per passione. Io sono innamorato del calcio. Ho giocato tra i dilettanti e sono stato dirigente in vari club pescaresi. Prendere il Chieti in quel contesto è stato un gesto istintivo».
Il momento più bello?
«Non uno, diversi. Intanto la prima salvezza, in C2. Eravamo partiti in ritardo con una squadra costruita all’ultimo momento e cambiata in corsa. Fu una grande soddisfazione. Poi, la promozione del 2001, dopo che in avvio di stagione avevamo concordato il premio salvezza. Quella squadra fece 35 risultati positivi in 38 gare. Una bella cavalcata, un gran bel gruppo. Chiudemmo al primo posto a pari punti con il Lanciano che era la nostra bestia nera e poi vincemmo i play off».
Il momento più brutto?
«L’ultimo periodo, senz’altro. Con i problemi che sorgevano ogni giorno. E poi il primo anno di C1, la stagione 2001-2002. Avevamo una buona squadra, ma i risultati non arrivavano. Ricordo dopo la sconfitta di Benevento, prima di Natale 2002...».
Che cosa?
«Mi si avvicinò Piero Braglia (oggi allenatore del Cosenza, ndr) sul pullman, chiedendomi di non esonerarlo perché la squadra c’era e lui l’avrebbe fatta emergere. Sapeva che stavo pensando di cambiarlo. Gli diedi fiducia e venni ripagato; poi, infatti, facemmo un gennaio fantastico, vincendo i derby contro il Giulianova e il Pescara e anche al Cibali di Catania. Peccato, però, che era troppo tardi per agganciare il treno dei play off».
L’allenatore più bravo che ha avuto?
«Forse Piero Braglia che è tutt’ora sulla cresta dell’onda. E anche Dino Pagliari era bravo. Nel 2004 arrivò incorsa e mi disse: “Ero un uomo morto, lei mi ha salvato la vita”. Gli misi in mano una Ferrari. Anche in questo caso arrivammo a un soffio dai play off».

Fabio Quagliarella
L’affare?
«Beh, quando prendemmo Fabio Quagliarella (oggi centravanti della Sampdoria e nella passata stagione capocannoniere della serie A a 36 anni, ndr). Giuseppe Tambone lo fece arrivare dalla Florentia. Segnò subito nel derby contro il Lanciano. Si vedeva che aveva talento...».
E Fabio Grosso?
«Andò via, al Perugia, a parametro zero al termine della stagione della promozione in C1, nel 2001. L’unico ringraziamento che ho avuto da Grosso mi è arrivato dalla mamma che, dopo un paio di anni dal passaggio da Chieti a Perugia, mi chiamò per rendermi merito di quello che avevo fatto per il figlio».
Che cosa aveva fatto?
«L’avevo preso dalla Rc Angolana, dai dilettanti, nel 1999. Io e Malavolta del Teramo lo acquistammo in comproprietà. Finì la stagione a Chieti, in C2. E poi andò a Teramo. Ma prima di Ferragosto mi chiamò l’allora ds Graziani e mi disse che mister Pruzzo non lo vedeva. E così lo riprendemmo a Chieti e da lì nacque Grosso».
Quanti soldi ha messo nel calcio?
«Per carità, lasci perdere questo argomento. Non metta il coltello nella piaga...».
Rifarebbe la scelta di prendere il Chieti?
«No, ora no. Ma non rifarei la scelta di entrare nel calcio, indipendentemente dal Chieti. Ho agito d’istinto e per passione. Anche se la testa diceva altro. Poi, sai, il calcio ti prende la mano».
Il rapporto con Chieti?
«Spesso incontro gente di Chieti e mi chiede di fare una foto insieme. Credo di aver lasciato un buon ricordo. Poi, certo, ci sono anche i facinorosi. Quelli che a seconda di come soffia il vento tira fuori la rivalità tra Pescara e Chieti».
In che senso?
«Beh, nel giro di un anno siamo passati da “Buccilli sindaco” a “Buccilli vattene”. Così, in poco tempo».
E poi c’è la vittoria del suo Chieti a Napoli, era il 20 novembre del 2005.
«Una domenica da leccarsi i baffi. Ero al San Paolo con i miei consulenti aziendali, napoletani. Che goduria. Anche se...».
Anche se...
«La settimana successiva giocammo all’Angelini e a fine partita contammo l’incasso. Circa settemila euro. Tra il pagamento delle tasse e dei servizi vari non avanzarono nemmeno i soldi per un caffè con il commercialista».
Il presidente che ha stimato di più?
«Pietro Scibilia più di tutti. Mi voleva bene. Un giorno mi disse: “Prenditi il Pescara”. E io: “Ma come faccio? Ho già il Chieti...”. E poi ricordo la signorilità del presidente del Frosinone Maurizio Stirpe quando gli vendetti il centravanti Aquino. Infine, Benigni dell’Ascoli, brava persona».
Oggi il calcio è cambiato.
«Seguo tutto e nel giro di 15 anni il calcio è stato stravolto. Tutt’altra storia. Non c’è paragone con il passato».
Che consiglio darebbe a chi vuole entrare nel calcio?
«Se ha passione è impossibile negargli la soddisfazione di fare ciò che più gli piace. Ma occhio: mai fare il passo più lungo della gamba, perché il pallone è una brutta bestia. Quando i risultati non arrivano pensi che sia necessaria una medicina (rinforzi o cambio di allenatore, ndr) e pur di prenderla sei disposto a tutto. Quel tutto è una fossa dalla quale, poi, è impossibile risalire».
@roccocoletti1.

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