Delli Pizzi: ho un rimpianto che errore dire no a Marotta

«Dopo la serie A rifiutai l’offerta dell’allora dg del Varese oggi alla Juve»

PESCARA. Le ha ben stampate nella mente quelle sei partire in serie A Domenico Delli Pizzi «perché», come dice lui, «rappresentano la gratificazione di una carriera sofferta, di cui vado orgoglioso». Ha respirato aria di grande calcio il portiere originario di Spoltore. Anche lui ha dei rimpianti, ma ne parla con somma serenità. Una stagione in serie A, 1982-83, quella post Mondiale di Spagna con la maglia del Cesena. E poi tanta serie C. Oggi, a 59 anni, è il preparatore dei portieri del Chieti; da quando ha appeso i guanti al chiodo si è dedicato alla crescita dei giovani portieri, insegnando i segreti del mestiere. «In pratica faccio quello che nessuno ha fatto con me. Io non ho avuto preparatori, tutto istinto. E una dote naturale: le uscite, a quei tempi una rarità».

Dai campi di Villa Raspa alla Chiola.

«Dal 1971 al 1973, dagli Allievi alla prima squadra, in Prima categoria».

Poi, l'Avellino.

«Era appena stato promosso in serie B. Vado in Irpinia per un provino e mi prendono subito per la Primavera. Ero il terzo portiere, a 18 anni ero già sulle figurine Panini. E proprio in quei giorni ho conosciuto il compianto Zucchini che poi sarebbe venuto a Pescara. Ho fatto due anni nella Primavera con qualche panchina in prima squadra, in serie B. Poi, dovendo fare il militare, vado a giocare con il Cadoneghe (Promozione), nel Padovano. Nel giugno 1976, finito il militare, dovevo rientrare ad Avellino, ma c'era stato il cambio di proprietà e i nuovi dirigenti si erano dimenticati del sottoscritto. L'allora presidente della Chiola, Mario Di Francesco, scrisse all'Avellino chiedendo che cosa voleva fare di me. E la risposta fu lo svincolo. Mi hanno lasciato a piedi e quella è stata la prima botta della mia carriera».

E così Delli Pizzi ricomincia dai dilettanti.

«Vado a Montorio in Promozione, era il 1976-77, c'era Florimbi allenatore. Ricomincio con la rabbia di chi vuole spaccare il mondo. Poi, faccio Pineto e Roseto in serie D. Piovono i complimenti, ma nessuno si fa vivo dai professionisti. A 24 anni ecco la proposta del Cattolica, in serie D. Non volevo andare, ma poi mi hanno convinto. E da lì sono ripartito, perché abbiamo vinto il campionato e mi ha preso il Forlì in C1. Due anni e poi la chiamata dal Cesena in serie A».

E siamo arrivati all'estate del 1982.

«Bei tempi, c'era l'euforia per il Mondiale vinto in Spagna. A Cesena c'era Recchi titolare, ma ha avuto diversi problemi personali».

Ed ecco il 6 marzo 1983, Fiorentina-Cesena 4-0.

«Primo tempo finito sul 3-0. Durante l'intervallo mi chiamano e mi dicono: "Tocca a te". Sono entrato senza riscaldamento. Ho fatto subito una parata su Massaro e mi sono gasato. Ho parato di tutto, finisce 4-0. E il giorno dopo la Gazzetta dello Sport mi dà 8,5. Era il Cesena di Buriani, Moro e Schachner. Allenatore Bolchi. Ero al settimo cielo, ma mi sono fatto male la settimana successiva. Sono rientrato nelle ultime cinque gare. Buon rendimento, a tal punto che, nonostante la retrocessione, il presidente Lugaresi mi conferma. Ma torno dalle vacanze e scopro che Marchioro, appena arrivato a Cesena, voleva Rampulla dal Varese e io dovevo andare in contropartita. Ho accettato a malincuore. Vado a Varese, faccio il ritiro e poi parlo con il ds Marotta (oggi dg della Juventus, ndr). Voglio lo stesso ingaggio di Cesena, ma Marotta dice no. Sostiene di non poter sforare il budget. Mi sono impuntato e, in pratica, ho detto no alla B. Probabilmente, è stato l'errore più grave della mia carriera. Sono rimasto a spasso. E solo a ottobre ho trovato squadra».

A Monopoli, in C2.

«Era stato Bolchi, nel frattempo passato al Bari, a fare il mio nome ai dirigenti. Subito la promozione in C1 e poi un altro anno a Monopoli. Poi, vado a Cosenza. Gioco le prime 15 gare e poi mi faccio male all'anca».

Ed eccoci all'estate del 1986.

«Altra svolta della carriera. Praticamente era tutto fatto: io da Cosenza a Pescara e in cambio Pacchiarotti doveva andare in Calabria. Era il Pescara di Galeone, quello retrocesso in C, ripescato in B alla vigilia dell'inizio del campionato e poi promosso in A. Operazione definita, mancavano solo le firme. Appuntamento una mattina d'estate in via Campania: io, il ds Ranzani del Cosenza e quello del Pescara Alberti e Pacchiarotti. Tutti presenti tranne Pacchiarotti. La sua assenza fece saltare l'operazione. E' stata una grossa delusione, una botta tremenda, la terza della carriera. Qualche mese per smaltire il colpo e poi a ottobre vado a Ravenna, in C2, c'era Biagio Lombardi lì».

Infine il Lanciano.

«Sì, perché lì c'era Carlo Florimbi, mi conosceva e mi ha portato a Lanciano dove sono stato cinque anni. Ho chiuso la carriera ad Atri, in Eccellenza, a 39 anni».

Il rimpianto più grosso?

«Quello di Avellino, ero giovane ed ero considerato il miglior portiere della Campania. Se non ci fosse stato quel cambio di proprietà… E poi Varese: che errore dire no a Marotta! Lui si è comportato bene con me: mi ha spiegato che i soldi che gli chiedevo il Varese non li aveva. Ma io mi sono impuntato, era troppa la delusione per essere andato via da Cesena. Un errore strategico il mio».

E infine Pescara.

«Io pescarese nel Pescara nell'anno della promozione in A, sarebbe stato il massimo. Ma sono orgoglioso di quello che ho fatto. Quando giocavo a Montorio, prendevo tre autobus per non perdermi nemmeno un allenamento».

Ha fatto i soldi?

«Non avevo vizi. Sono stato oculato e li ho investiti. Quando ero a Cesena andavo in giro con la Renault 5. Mi prendevano in giro: "Giochi in serie A e vai in giro con questa macchina…". La prima vettura di una certa cilindrata l'ho comprata a 29 anni quando ero a Cosenza: una Bmw».

Chi era il suo modello

«Nessuno in particolare, ma ai miei tempi mi piaceva Albertosi, mentre oggi il numero uno resta sempre Gigi Buffon».

Che portiere era Delli Pizzi?

«Reattivo nel breve e abile nelle uscite. Soffrivo i tiri da lontano».

In chi si rivede?

«Luca Marchegiani, oggi commentatore tv. Lui certamente più forte, ma le caratteristiche erano simili».

Il giocatore più forte con cui ha giocato?

«Walter Schachner, il centravanti austriaco, una forza della natura. Davvero una forza della natura».

Il miglior amico nel mondo del calcio?

«Parlo con tutti, ma frequento gente al di fuori del pallone. Però, ogni tanto mi sento al telefono con Chinellato e Silva, ad esempio. Ho avuto la fortuna di conoscere il compianto professor Giovanni Cornacchia, un maestro di vita e di sport eccezionale».

@roccocoletti1

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