Marco Giampaolo, 51 anni, allenatore giuliese della Samp con il presidente Marco Ferrero

L'INTERVISTA

Giampaolo: Italia in crisi perché manca il talento 

«Prima c’erano i blocchi delle big, ora una grande dà massimo tre giocatori»

Massimo Ferrero lo ha elevato al rango di maestro di calcio non a caso. Sì, perché Marco Giampaolo è alla terza stagione alla guida della Sampdoria e ogni estate si è visto sfasciare la squadra costruita durante l’anno in nome e per conto delle plusvalenze che tengono in vita le società di calcio. Ogni anno via i migliori per rimettere a pari i conti e magari realizzare un segno positivo alla chiusura del bilancio.
Nessuno come il presidente doriano sa che se un giocatore passa per le mani del 51enne allenatore giuliese ha grandi possibilità di essere valorizzato. Giampaolo lavora e assembla il talento, lo contestualizza nella squadra e lo fa brillare. Tanti i giocatori lanciati dal tecnico risorto, calcisticamente parlando, nell’estate del 2015, quando l’Empoli lo ha riportato in serie A. Era finito in C. Si era perso nei meandri di un calcio che macina tutto e subito. Probabilmente, anche quegli anni di oblio sono serviti per decretarne la resurrezione fino al titolo di maestro di calcio affibiatogli da Massimo Ferrero.
È partito bene, nonostante l’ennesima rivoluzione estiva. Il successo di Bergamo, contro l’Atalanta, prima della sosta ha dato smalto e brillantezza a un lavoro in profondità iniziato in ritiro ai primi di luglio. All’orizzonte c’è il posticipo di lunedì sera 22 ottobre, al Ferraris, contro il Sassuolo. Nel frattempo, si gode una domenica di relax dopo aver rilasciato l’intervista al Centro.
Giampaolo, quinto posto in classifica con una Sampdoria rivoluzionata. Sta andando oltre le previsioni?
«Non lo so. Di solito, ogni estate, riparto da una base di giocatori che conosco e sanno quello che voglio; poi ce ne sono altri da integrare. Previsioni non ne faccio. I nuovi portano linfa e motivazioni. Chiaramente, c’è da lavorare. Il mio obiettivo è quello di assemblare e dare una fisionomia di gioco alla squadra. Ma non so fare previsioni. Più in generale, posso dire che chi ha maggiore disponibilità di spesa ha più possibilità di fare bene; fortunatamente, non è un’equazione esatta. Di mezzo ci sono delle variabili e, soprattutto, l’abilità degli interpreti. Per quanto mi riguarda, ribadisco l’importanza della presenza dei cosiddetti vecchi che aiutano i nuovi a inserirsi».
Questa volta puntate all’Europa League?
«A mio avviso, sei squadre sono fuori portata, quattro in Champions e due in Europa League. Resta il settimo posto che dà l’accesso ai preliminari di Europa League. Ci sono tante squadre che ambiscono a questo piazzamento, dal Torino alla Fiorentina e nel gruppo c’è anche la Sampdoria. E lo stesso Sassuolo. Poi, chiaramente, si gioca e questo è un campionato più equilibrato del solito, non ci sono partite semplici. Pochi dettagli fanno la differenza. Il mio obiettivo è quello di migliorarsi individualmente e come squadra. Ma, appunto perché la serie A è equilibrata, è impossibile fare previsioni».
Lei dice sempre di essere innamorato della Samp, che cos’ha di particolare?
«C’è tutto per fare bene. Il clima è buono, il mare c’è, il pesce è buono (ride, ndr) e la tifoseria è un valore aggiunto. Sto bene, mi trovo a mio agio».
C’è la sosta per le nazionali e la nostra non vince una partita ufficiale da un anno.
«Da quando c’è Mancini si sta portando avanti un’altra filosofia, si è aperto un nuovo ciclo. La Nazionale ha bisogno di talento che va scovato, bisogna creare le condizioni affinché emerga. Dopodiché, tanto per essere più chiari, va fatto un ragionamento: la Juve è prima e dà tre giocatori all’Italia; il Napoli è secondo in classifica e ne dà uno, l’Inter lo stesso. Tradizionalmente, le grandi Nazionali si formano attingendo a un blocco. Che oggi non c’è. Ci vogliono calciatori forti, sono loro che fanno la differenza in campo. Inutile prendersela con il ct di turno».
Un giorno le piacerebbe allenare una nazionale?
«Mi piace allenare la Sampdoria».
Aveva detto di voler smettere di allenare a 60 anni.
«Altri dieci anni? Forse sono troppi. Forse smetterò prima».
La Juve è davvero di un altro pianeta?
«Sì, per qualità e quantità dell’organico. E per la mentalità che la caratterizza».
È la volta buona per la Champions?
«Può essere, ma non si può dire, anche perché ci sono altre Juventus in Europa».
Intanto nell’ultima giornata quattro vittorie su quattro delle italiane in Champions. Non accadeva dal 2005. Un caso?
«Diciamo che è un auspicio affinché si possa invertire la rotta. Ma il vero termometro sarà rappresentato dal numero di squadre che supererà la fase a gironi. Detto ciò, penso che comunque la serie A sia un campionato competitivo. Più che negli anni scorsi. Duro. È difficile giocare in Italia, c’è grande equilibrio».
La sorpresa della serie A?
«Non una squadra, ma un’inversione di tendenza. Mi piace sottolineare il fatto come un tempo le squadre di metà classifica si chiudevano dietro e giocavano in contropiede. Oggi non è più così, provano a giocare a calcio. E questo rappresenta un aspetto migliorativo dello spettacolo. Vedi Sassuolo e Empoli che se la giocano a viso aperto, senza paura».
Il giocatore rivelazione?
«Spero sia un mio giocatore. Dico Joachim Christian Andersen (difensore centrale danese classe 1996 già nel mirino di diversi club europei, ndr)».
Un abruzzese d’adozione, Gabriele Gravina, dovrebbe diventare presidente della federcalcio. Da dove ripartire?
«Intanto, è un nome che sta riscuotendo grande apprezzamento, quasi un’unanimità di consensi. Dico quasi perché in Italia nemmeno il papa raccoglie l’unanimità. Gravina è un uomo di calcio e di azienda. Ha competenza. E noi come abruzzesi speriamo riesca a fare bene anche per tenere alto il nome della nostra regione».
Lei sta vivendo più o meno direttamente le vicende del Ponte Morandi, qual è lo stato d’animo di Genova?
«L’ho detto e lo ripeto: Genova non va compatita, ma visitata, perché è una bella città. Oggi per aiutare questo popolo e lenire il dolore della strage va fatta una sola cosa: ricostruire il ponte. Il prima possibile».
@roccocoletti1.

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