Il Viaggio dell’acqua parte dalle 99 Cannelle

La cerimonia e poi la staffetta con l’ampolla nei paesi più colpiti dal terremoto

La notte oscura del 6 aprile che ha scosso e sfregiato il volto e l’anima dell’Aquila non ha scalfito la bellezza enigmatica del suo simbolo più famoso: la Fontana delle 99 Cannelle.

Quei 99 mascheroni che da quasi otto secoli gettano acqua nelle vasche sottostanti, incastonati nelle tre pareti fatte di masselli in pietra bianca e rosa, la stessa della Basilica di Collemaggio che il terremoto ha, invece, orrendamente violato. «Urbs nova, fonte novo, veteri quoque flumine, gaudet» (La nuova città gode di una nuova fonte, anche se di vecchio fiume) recita l’insegna del monumento ideato dall’architetto Tancredi da Pentima nel 1272.

L’immagine della nuova fonte - e del nuovo inizio a cui essa rimanda - ha dominato pensieri e gesti della minuscola folla (una settantina di persone) che, ieri pomeriggio all’Aquila, si è raccolta in questa radura di refrigerio mentale nell’orrore delle macerie, per celebrare un rito di innocenza quasi pagana, prologo dell’inaugurazione ufficiale della sedicesima edizione dei Giochi del Mediterraneo in programma, oggi a Pescara.

Non c’erano, benché annunciati, il presidente del consiglio Silvio Berlusconi e il presidente della Regione, Gianni Chiodi. C’erano, invece, il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, Mario Pescante, avezzanese, commissario straordinario dei Giochi del Mediterraneo, e Nazario Pagano, presidente del consiglio regionale.

Ma è stata una donna tutta vestita di bianco, Romina Carrozzi, con la sua bambina in braccio, Giorgia - la prima nata (a Paganica) del dopo terremoto - a dare corpo al prologo con un gesto di incantevole ellissi. Reggendo con il braccio sinistro la sua piccola, Romina ha immerso per tre volte un mestolo di rame nell’acqua della vasca della fontana e, per tre volte, ne ha versato il contenuto in una grande anfora bianca di ceramica di Castelli, segnata dall’azzurro dei disegni. L’acqua è stata poi versata in una lunga e più stretta ampolla e consegnata nelle mani di Amar Addadi.

Pantaloni, scarpette da corsa e maglietta bianchi, l’algerino, presidente del comitato internazionale dei Giochi del Mediterraneo, reggendo con due mani l’ampolla, è salito con passo veloce lungo i dieci larghi gradini di sanpietrini chiari che separano il fondo della fontana dalla strada, dando avvio a quel «Viaggio dell’Acqua» che si concluderà stasera nel nuovo stadio Adriatico di Pescara. Al breve movimento ascendente del primo idroforo (portatore di acqua) ha fatto eco, come un’onda di ritorno, quello della piccola folla che assisteva al rito che ha accompagnato con gli occhi e con il corpo la marcia di Addadì oltre la Porta Rivera, voltandosi quasi all’unisono con le note pucciniane della Turandot intonate dalla banda dell’Aeronautica al centro della fontana.

Il viaggio - che ha l’acqua come simbolo lenitivo e testimone della possibilità di rigenerazione, al posto del tradizionale fuoco olimpico - ha fatto tappa alla Basilica di Colllemaggio, prima di avviarsi lungo una via crucis scandita dai nomi dei paesi più colpiti e devastati dal terremoto: Paganica, poi Onna, poi San Gregorio e, infine, Villa Sant’Angelo. A ogni stazione un’ampolla è stata deposta e un’altra è stata consegnata nelle mani dell’idroforo successivo. L’acqua delle 99 Cannelle è così passata dalle mani di Addadi a quelle di Benito Piccirilli, un aquilano di 82 anni, Dino Iovannitti e Luigi Fiordigigli, giocatore e dirigente della squadra di rugby di Paganica. Poi, a Onna, Pasquale Pezzopane, al quale il terremoto ha portato via due dei suoi quattro figli l’ha consegnata a Giustino Parisse, giornalista del Centro, che nella tragedia ha perso i suoi due ragazzi, Maria Paola e Domenico. La staffetta è proseguita ancora con Fabrizio Vasarelli, Chiara Petrocco, Antonio Bonanni e Luigi De Matteis.

Prima che il viaggio partisse, sia Cialente che Pescante avevano parlato del valore simbolico dell’acqua per la storia dell’Aquila (che da lì trae il suo nome) sottolineando l’importanza, per il futuro della città e dell’intera regione, anche di quel breve rito celebrato sotto il cielo mutevole di un’estate che tarda a sbocciare quasi temesse di sminuire il dolore.

«Cerimonie come queste», ha detto il sindaco, «sono importanti perché fanno sentire che gli altri ci sono vicini. Ma poi si ritorna tutti nella pena grandissima dell’incertezza sul nostro futuro. E si avrebbe voglia di tornare indietro e rivivere piccoli momenti a cui, prima, non davamo grande importanza: come accompagnare i miei bambini a scuola, o come vedere tutti quei giovani in giro per la città nelle sere dei Giovedì universitari. E poi, la mattina dopo, sentire i comitati cittadini che protestavno per il chiasso. Mi manca - ci manca - la normalità con tutta la sua banalità, con tutta la sua dolcezza».