Leo Junior a Pescara

LEO JUNIOR SI RACCONTA

"Io, Pelè e il Pescara. Il biancazzurro è la mia seconda pelle"

Il ritorno in città del brasiliano: "Delfino nel cuore e che gioia quel 2-0 alla Juve. Maradona fortissimo, ma ORey era il Sinatra del calcio"

PESCARA. L’addio al Pescara quasi 30 anni fa, ma il legame con la città non si è mai spezzato. Il richiamo è sempre forte ed ecco che dopo un paio d’anni d’assenza Leo Junior, 65 anni, è sbucato di nuovo sulla spiaggia del Lido il Corallo. Dal 1989, quasi ogni anno, Junior trascorre qualche giorno di vacanza a Pescara, dove ha giocato per due stagioni (dal 1987 al 1989) entrando nel cuore dei tifosi.

Leo Junior con la casacca biancazzurra nella stagione 1988-89
Junior, ha la saudade di Pescara?
«Pescara è la mia seconda casa (ride, ndr). Qui sto bene, ho vissuto due stagioni molto belle. Ho trovato tanti amici, come Peppino Baldacci, che è mio amico fraterno e ha battezzato anche mia figlia. Il posto mi piace, adoro la tranquillità e la gente che ci vive. Qui sono trattato allo stesso modo di come vengo considerato a Rio de Janeiro. Mi vogliono bene e io ne voglio ai pescaresi».
Si sente il giocatore più rappresentativo della storia del Pescara?
«Qui sono stato da Dio e mi fa piacere che mi identifichino come un giocatore simbolo. A Pescara ho comprato casa e l’ho avuta per 13 anni fin quando i miei figli non sono diventati grandi. Ho un legame viscerale con questa piazza».

Come fece il Pescara a ingaggiarla nel 1987?
«Tutto merito di Vincenzo Marinelli (storico dirigente del Delfino e della Nazionale under 21, attuale presidente onorario del Pescara, ndr) che parlò con Luciano Nizzola, ex dirigente del Torino, chiedendo la mia disponibilità. Avevo qualche problema con Gigi Radice (compianto ex tecnico granata, ndr) e nell’estate del 1987 arrivò la proposta del Pescara. Mi informai e tutti parlarono bene della città e dell’ambiente. Così, dopo tre anni a Torino, decisi di spostarmi. Ebbi il desiderio di rimettermi in discussione con una nuova sfida, mi sono mosso sempre così nella vita. Potevo tornare al Flamengo, invece scelsi Pescara».
Di Giovanni Galeone che cosa sapeva?
«Me ne aveva parlato Zico, che l’aveva avuto come vice allenatore all’Udinese. Mi raccontò che era una persona eccezionale sotto tutti i punti di vista».
È vero che ai tempi del Torino aveva litigato brutalmente con il suo allenatore Gigi Radice?
«Sì, tutto vero. Lui dopo una partita contro il Verona disse ai giornalisti che per gestirmi gli serviva un assistente sociale perché non avevo gradito il cambio. Per me è stata una brutta cosa. Mi ha offeso, tanto. Io ho replicato dicendo che per lui sarebbe servito uno psichiatra. Lì il nostro rapporto si incrino definitivamente».
Com’è cambiato il calcio negli ultimi 30 anni?
«È cambiato totalmente. Ora i calciatori vivono per i social e sui social. Non ne possono fare a meno. Questa cosa ha danneggiato ulteriormente il mondo del calcio».
Il ricordo più bello che ha della sua esperienza a Pescara?
«La vittoria per 2-0 sulla Juve nel 1988. Segnammo io e Rocco Pagano. Quella partita fu straordinaria».
Dei suoi vecchi compagni di squadra con chi è più legato?
«Gigi Ciarlantini (ex difensore, ndr), sicuramente. Siamo rimasti grandi amici e spesso vado a trovarlo. Pensi che suo nipote si chiama Luigi Junior Ciarlantini in mio onore. Ma anche con Gian Piero Gasperini ho ancora un grande rapporto ed è anche venuto a trovarmi a Rio. Gasperini è stato un grande compagno di squadra. Ricordo che quando arrivai a Pescara, lui mi disse che non poteva tenere la fascia di capitano e per rispetto me la diede. Fu una cosa bellissima».
Senza calcio che cosa avrebbe fatto?
«In Brasile ho studiato economia e commercio fino al terzo anno, poi ho dovuto smettere per il calcio. Avrei lavorato nel mondo della finanza».
Junior, 5 luglio 1982. Il suo Brasile stellare perse con l’Italia?
«Dal 1982 tutti cercano di attribuire colpe a qualcuno, ma il calcio è così. Abbiamo perso e basta. E poi l’Italia era una gran bella squadra e vinse con merito. La più grande soddisfazione però è quella di sentire allenatori, tipo Guardiola, che si sono ispirati al nostro modo di giocare di quel Mondiale. Quel Brasile ha fatto la storia».
L’avversario più forte che si è trovato davanti?
«Diego Maradona, senza dubbio. Era imprevedibile, aveva una marcia in più rispetto agli altri».

Junior con Pelè
Più di Pelè?
«No, se parliamo di Pelè parliamo di extraterrestri. Lui era di un altro pianeta. Pelè aveva un passo in più sotto tanti punti di vista. Di giocatori come lui non ce ne saranno più. Lui è il Frank Sinatra del calcio».
Messi o Cristiano Ronaldo?
«Messi, perché è geniale ed estroso. Cristiano Ronaldo è un gran lavoratore».
Il Pescara lo segue ancora?
«Certo, sempre. Quest’anno però sarà un po’ difficile perché non so se riuscirò a vederlo perché spesso le partite si giocano mentre io lavoro con la tv. Faccio da anni il commentatore per Rete Globo. L’anno scorso ho fatto il tifo quando i biancazzurri sono andati ai play off. Speravo nella serie A».
Due astri nascenti del calcio brasiliani sono arrivati al Milan. Sarà l’anno di Paquetà e Duarte?
«Sì, per Paquetà sarà l’anno dell’affermazione. È molto bravo e può arrivare lontano. Assomiglia a Kakà? È un paragone che non regge. Kakà aveva una mentalità diversa. Su Duarte invece penso che è un difensore adatto al calcio italiano. È duro, non è velocissimo, bravo tecnicamente e abile di testa».
Ha dei consigli per gli acquisti da dare ai club italiani?
«Antony, una mezz’ala che gioca nel San Paolo. L’altro gioca nel Santos, si chiama Diego Pituca ed è un centrocampista mancino».
Neymar dopo l’addio al Barcellona sta avendo problemi anche a Parigi. Che succede a “O Ney”?
«In campo è un fenomeno, forse fuori dal campo è malconsigliato. Lui è un leader tecnico, ma fuori dal campo no».
Balotelli al Flamengo colpo sfumato?
«Per il Flamengo sarebbe stato un grande colpo. Giocatori un po’ “matti”, ma che giocano benissimo, piacciono in Brasile. Sarei stato curioso di vederlo con la maglia del Flamengo».
Un suo giudizio sullo stato di salute della Nazionale italiana?
«L’ultimo giocatore che è arrivato in alto qual è? Io penso a Verratti, per esempio. Non vedo altri fuoriclasse in giro. Dove sono più i vari Mancini o Vialli? La colpa è dei club italiani che prendono troppi stranieri riducendo lo spazio agli italiani».
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