Pillon nella redazione del Centro

PILLON IN REDAZIONE

«Io, Pescara e la vetta tutto è nato a tavola ma non parlatemi di A» 

Il tecnico si racconta a 360°: «Felice del primo posto, però la strada è ancora lunga. Vi racconto il rituale della cena del mercoledì...»

PESCARA. È il veterano della panchina. Bisogna scoprirlo e la cosa non dispiace. Molta sostanza, poche chiacchiere. Così, in pochi mesi, ha cambiato volto al Pescara ed è entrato nei cuori dei tifosi. Si gode il primo posto, Bepi Pillon, 62 anni, ieri ospite della redazione del Centro. Un’ora di chiacchierata a briglie sciolte, senza peli sulla lingua, con l’allenatore che sta facendo tornare a sognare una città che ha fame di calcio e, soprattutto, di serie A.
Pescara al primo posto, i tifosi sognano e Bepi Pillon se la ride sotto i baffi.

Il tecnico biancazzurro durante l'intervista

«Calma, non è cambiato nulla e non deve cambiare nulla rispetto a prima. Anche se c’è entusiasmo, noi non dobbiamo pensarci. Bisogna guardare con umiltà al futuro».
Lei è entrato nel cuore dei tifosi. Se l’aspettava?
«Mi fa molto piacere perché fare bene a Pescara è molto importante. Qui c’è storia e tradizione; sono felice che la tifoseria stia apprezzando il lavoro mio e dello staff che ho il piacere di avere».
Il segreto di questo inaspettato successo?
«Questa squadra mette in campo tutto quello che ha e la gente si sta avvicinando a noi perché non molliamo mai. Stiamo facendo un buon campionato e sono molto contento».
Piedi per terra d’accordo, ma lei si ricordi che è sempre l’allenatore della capolista.
«Calmi, calmi. È presto per fare previsioni e tabelle di marcia. Quello di B è un torneo molto livellato e non vedo squadre “ammazza campionato”. La serie B a 19 squadre sarà molto più dura».
Lo spogliatoio è rimasto colpito dal suo atteggiamento. In molti, calcolando i tanti giovani, la vedono un po’ come un papà. Come ha fatto ad entrare in così poco tempo nel cuore dei suoi giocatori?
«Mi fa piacere che la squadra apprezzi il mio modo di fare. Penso che il gruppo stia facendo la differenza. Siamo una famiglia unita e questa cosa mi fa molto piacere perché tutti devono supportarsi. Non voglio vedere musi lunghi e prime donne. Il Pescara è cresciuto tanto in queste prime sette partite, ma tutto parte da lontano. Il nostro lavoro è iniziato il 9 luglio e adesso iniziano a vedersi i frutti».

Bepi Pillon con il direttore del Centro, Piero Anchino

Torniamo ad aprile, quando è stato chiamato dal ds Repetto.
«Ero molto fiducioso quando il Pescara mi ha scelto. Abbiamo tirato fuori il meglio e abbiamo meritato la salvezza. Paura di retrocedere? No, mai. Il termine paura nel mio vocabolario non esiste. La paura è altra cosa, noi giochiamo al calcio e non bisogna avere paura. Chi lotta tra la vita e la morte può avere paura, noi, che siamo dei privilegiati, non dobbiamo avere a che fare con la paura».
Serie B, A e Champions League. Carriera lunga e molto importante la sua.
«Posso dire che mi sono tolto delle belle soddisfazioni. In carriera ho fatto tante cose buone e altre meno. Ricordo con piacere gli anni del Chievo, quando abbiamo disputato i preliminari di Champions. Ma ricordo anche delle delusioni, come la retrocessione a Bari dopo i play out».
Parliamo di Mancuso, che le sta dando grandi soddisfazioni. Ala o centravanti?
«Può fare bene e segnare gol in entrambi i ruoli. Non è la posizione che influisce, ma l’atteggiamento che mette in campo. Leo sta facendo molto bene e sono contentissimo».
Machìn?
«José è un giocatore molto importante, ma deve mantenere umiltà e determinazione. Il suo rendimento è sotto gli occhi di tutti, però gli serve concentrazione e non deve strafare. La panchina di Brescia credo che gli sia servita molto e so bene che lui è all’altezza della situazione. Fidatevi, può ambire a palcoscenici molto importanti, ma deve rimanere umile».
Pillon amato dai pescaresi, ma anche anti-personaggio e poco amante della vetrina.
«Sono diverso ad altri miei colleghi. Sono diretto e non sono ruffiano. Conosco il calcio e so che ci sono momenti positivi e altri meno. Cerco di essere sempre equilibrato e di non cambiare mai l’atteggiamento. Non vendo fumo e non voglio creare facili entusiasmi. Preferisco mantenere un basso profilo».
Però in panchina si scatena.
«(Ride, ndr) Quando entro in campo mi trasformo. Poi, mi rivedo in tv e sui giornali, e mi vergogno un po’. Certe espressioni mi fanno sorridere, ma sono fatto così. Sono un sanguigno».
Rimpianti in carriera?
«L’ultima esperienza al Chievo. Non mi è stata data la fiducia necessaria dopo aver centrato i preliminari di Champions».
Prossima sfida con lo Spezia?
«Sono un ex. Ho giocato 4 anni in Liguria e ho vinto un campionato nel 1986. L’anno della promozione la società era messa male e non abbiamo preso soldi per 4 mesi, poi alla fine abbiamo vinto grazie alla forza del gruppo. Quella di venerdì sarà una gara difficile, una battaglia. Lì l’ambiente è molto caldo e so bene che accoglienza ci verrà riservata. Tuttavia, noi andremo a La Spezia per fare la nostra gara e dobbiamo tirare fuori gli attributi, come abbiamo sempre fatto».
Quando ha iniziato ad allenare?
«Sono partito dai dilettanti, quasi per caso. Nel Salvarosa, in Promozione, poi da lì è iniziata la mia carriera fino a Treviso dove abbiamo scritto pagine importanti dalla D fino alla A».
I suoi modelli?
«Sacchi e Guidolin».
Ascoli-Reggina, in serie B, campionato 2009-2010. Lei al timone dell’Ascoli. Cosa le viene in mente?
«Il famoso gesto di fair-play che fece un po’ discutere. Durante la partita mentre un difensore amaranto lascia uscire la palla per dei problemi fisici, la mia squadra non lascia terminare la palla fuori e continua a giocare, segnando rocambolescamente il gol del vantaggio. Io guardo i miei giocatori e chiedo loro di rimanere fermi e di regalare il gol alla Reggina. Non so se lo rifarei perché quella partita l’abbiamo persa 3-1 e per fortuna le cose si sono aggiustate successivamente visto abbiamo vinto 5 gare di fila».
La sua carriera poteva cambiare nel 2005 con un prestigioso contratto con la Lazio. Poi, cosa accadde?
«Avevo trovato l’accordo, poi però presero Delio Rossi. Avevo già parlato con il ds dell’epoca che era Carlo Osti e mi è dispiaciuto perché poteva rappresentare un crocevia importante per la mia carriera».
Crocevia importante anche Pescara. Salvezza, rinnovo e promozione in A. Sarebbe il massimo, non crede?
«Non ci penso alla serie A. Vivo l’immediato e il presente. Non voglio andare oltre perché sarebbe sbagliato».
Alcuni addetti ai lavori sottolineano che al Pescara manca un pizzico di cinismo.
«Se penso al pareggio di Padova è così. Per 90’ abbiamo fatto una grande partita, poi, però, negli ultimi 5’ pensavamo di averla già vinta. È stato un grave errore pensare di averla già chiusa».

L'abbraccio tra l'allenatore di Preganziol e il difensore Hugo Campagnaro

Quattro promozioni in carriera, a Pescara potrebbe essere la quinta. Cosa farà nel caso dovesse riuscirci?
«Ad Ascoli sono andato in bici fino al Santuario di San Gabriele. A Treviso ho portato i miei ragazzi in vacanza sul mar Rosso. Se vinco a Pescara non lo dico, lasciamo stare. Meglio di no…».
Tagliare i baffi?
«Potrei andare oltre i miei baffi, fidatevi».
Fuori dal campo cosa le piace fare?
«Giocare a tennis e ogni tanto vado a mangiare gli arrosticini. Poi c’è il rituale del mercoledì sera con una cena di pesce con le stesse persone. Guai a cambiare. Sarà così fino alla fine del campionato perché finora ha portato bene».
Nel suo staff, dopo suo fratello Albino, c’è suo figlio Jacopo.
«Merita di lavorare nel mio staff. Si è fatto da solo ed io non l’ho mai aiutato, ma ha avuto la fortuna di avere un padre come allenatore. Però se fa una cavolata in campo lo rimprovero».
Cosa le piace di più di questa avventura?
«Essere circondato dai giovani. Mi piace molto lavorare con i ragazzi e il loro modo di vivere il calcio mi fa tornare indietro nel tempo».
Che voto dà al suo Delfino?
«I voti si danno alla fine, ma finora sono molto soddisfatto».
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