eurobasket 2015

Lamonica: «Che emozione davanti a 27mila tifosi»

L’arbitro abruzzese racconta la finale di Lille tra Spagna e Lituania con un pubblico da stadio. «Nel 2016 lascio, insegnerò ai giovani»

ROSETO. La finale di Eurobasket 2015 vinta dalla Spagna contro la Lituania, ha visto sul parquet anche un pezzetto di orgoglio italiano: ad arbitrarla infatti, c’era Luigi Lamonica, fischietto pescarese che da qualche anno vive a Roseto degli Abruzzi. E’ stata per lui la quinta finale diretta agli Europei, dopo le edizioni 2003, 2005, 2011 e 2013, una finale particolare per tanti aspetti: «E’ vero, questa edizione resterà nella storia», racconta Lamonica appena rientrato all’aeroporto di Pescara, «visto che è durata una ventina di giorni, giocando in ben quattro nazioni diverse, Francia, Germania, Croazia e Lettonia; fare poi la fase finale a Lille, giocando in uno avveniristico stadio di calcio davanti a 27mila persone è stato spettacolare».

E poi la finale tra Spagna e Lituania l’aveva già arbitrata a Stoccolma nel 2003: «Esser designato per la finale mi rende orgoglioso, e farlo con Belosevic, ancora di più, visto che già nel 2003 eravamo insieme a dirigere (fu l’ultima col doppio arbitro)», conferma Gigi.

Una designazione che è stato un premio alla carriera? «Non l’ho vissuta così», precisa il fischietto abruzzese, «mi fa piacere invece che dopo tante edizioni mi chiamino ancora a dirigere le finali, significa che mi hanno scelto per le mie doti e la mia etica del lavoro».

Sul match impossibile non chiederle spiegazioni in merito al fallo tecnico comminato al coach della Spagna Scariolo negli ultimi minuti, a gara praticamente vinta: «Il coach ce l’aveva con un mio collega, non per lagnarsi di un errore, ma perché il fallo non era stato fischiato dall’arbitro più vicino all’azione», racconta Lamonica, «e quando per la seconda volta è entrato sul parquet, ho deciso di sanzionarlo, avendo superato il limite del reciproco rispetto».

“Decidere”, è anche il titolo del libro nel quale ha raccolto i pensieri scritti nei suoi Diari; una consuetudine che continua, visto che anche il Diario dell’Europeo pubblicato su roseto.com è stato seguitissimo, a riprova che è un canale di comunicazione utile: «I Diari sono un modo per far conoscere il mio mondo, e far sapere cosa succede durante un torneo del genere, lungo e stancante», racconta Lamonica, «è anche un modo per aprirsi un po’ di più come categoria, basti pensare che fino a poco tempo fa eravamo completamente silenziosi, senza nemmeno poter spiegare anche un eventuale errore. Invece, ci sono sempre tanti stimoli, nuove tattiche, nuove metodologie che in pratica ci costringono ad aggiornarci, e quando sei in una grande manifestazione, hai la possibilità concreta di lavorare con gente come Ronnie Nunn e Carl Jungebrand (rispettivamente ex fischietto Nba e Capo Dipartimento FIBA Arbitri) persone che lavorano ogni giorno sull’arbitraggio: lì devi essere come una spugna ed apprendere il più possibile, perché la nostra missione è di lavorare per ridurre il numero degli errori o perlomeno per evitare quelli potenzialmente decisivi».

Dalle sue parole, traspare che per stare a certi livelli, serve abnegazione, umiltà e tanta passione: per questo partecipa anche ad eventi legati al mondo delle giovanili, come il trofeo Ministars di Roseto, dove l’abbiamo vista dispensare consigli ai mini arbitri e sorrisi e selfie coi piccoli giocatori. Dica la verità, fa un lavoro che le piace: «Amo farlo e spero si veda», sorride Gigi, «il minibasket poi ti fa render conto davvero di cosa muove questo sport; è appagante vedere i bambini che corrono dietro la palla a spicchi, fa riscoprire l’essenza del gioco, cosa che i grandi a volte scordano, distolti da altri aspetti».

Quello appena andato in archivio è stato il suo ultimo Europeo, visto che per raggiunti limiti d’età concluderà la carriera ad agosto 2016: quali sono adesso i suoi obiettivi? «Per me è importante lasciare un bel ricordo, e quindi affronterò le 60-70 gare che mi rimangono come la finale di Lille», conclude Lamonica che poi svela il suo sogno: «Soprattutto ci tengo a trasferire la mia esperienza e le mie conoscenze agli arbitri più giovani, altrimenti di 22 anni di serie A resterebbero solo numeri freddi. Secondo me, nessuno si ricorderà il nome dell’arbitro della finale; invece, se nel futuro, qualche giovane arbitro si ricorderà che in quella certa partita c’ero io a dirigere con lui, questo mi farebbe davvero piacere».

Marco Rapone

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