«No raccomandazioni, serve meritocrazia» 

«I vivai sono da rifare e la politica deve stare fuori dalla Figc»

PESCARA. Uno spirito libero, questo è Edi Bivi. Lo era da calciatore, lo è oggi che ha 57 anni. È cresciuto, calcisticamente con il mito di Johan Cruijff, un riferimento in campo e in panchina dagli anni Sessanta fino agli anni Novanta. E la filosofia disincantata del suo calcio totale ha accompagnato la vita dell’ex centravanti originario di Lignano Sabbiadoro, ma pescarese d’adozione. Non ha peli sulla lingua Edi Bivi, non ne ha quando si tratta di parlare di calcio, della sua crisi e delle prospettive. Lo ha fatto con il Centro nella diretta Facebook disponibile anche sul sito. Schietto e diretto, a costo di dire verità fuori dal coro.
Bivi, partiamo dalla serie A. Qual è il suo giudizio?
«Il Napoli gioca meglio di tutti. Sul piano tecnico è una spanna avanti, almeno finora».
Dopo sei anni la dittatura della Juventus può cadere?
«Mi auguro di sì per il bene del movimento che acquisirebbe maggiore interesse. Il Napoli in questo momento ha maggiore consapevolezza nei propri mezzi. E si vede. Forse, la rosa non è al livello della Juve e deve andare sempre a tavoletta per poter vincere. Questa è l’altra faccia della medaglia».
Ora va di moda il sarrismo.
«Nel calcio non si inventa più nulla. L’ultima mezza rivoluzione filosofica è stata quella di Guardiola, a Barcellona, che ha preso il seme da Cruijff. Ma il calcio di Sarri è noto. Lui è stato bravo a valorizzare il materiale tecnico a disposizione, questo sì. E’ un allenatore che sa lavorare sul campo, basta vedere giocare il Napoli per rendersene conto».
Lei avrebbe fatto giocare Insigne in Nazionale contro la Svezia?
«Tecnicamente deve giocare, oggi è il migliore in Italia. Poi, non so quello che è accaduto e non conosco i motivi della scelta di Ventura».
L’Italia ha scoperto la crisi nel calcio dopo l’eliminazione della Nazionale dai Mondiali 2018.
«E’ un discorso ampio, ma abbiamo un’occasione storica per cambiare».
Partendo da che cosa?
«La parola magica è il merito. Se la politica mette i piedi nel calcio, il pallone è morto. Tavecchio è un politico - un ex sindaco di un paese in Lombardia - messo a capo della Figc. Già così il calcio è morto. Bisogna mettere a capo del movimento persone che sanno di calcio. Commercialisti o altro se ne trovano a bizzeffe. Serve gente di calcio. Occorre ricominciare dai settori giovanili e dal merito. Fare selezione, prendere il meglio e costruire qualcosa. Solo così si può cambiare. Il merito e il sapere devono essere al centro della discussione. Se si fa finta di cambiare per non cambiare nulla siamo falliti».
Quindi?
«Siamo in mezzo a una corruzione spaventosa. Nei settori giovanili ci sono genitori che pagano per far giocare i figli, come si fa? Ci sono degli istruttori di base che andrebbero arrestati subito: non sanno fare nulla. Ai bambini di 10-12 anni vengono richiesti esercizi per il potenziamento fisico; in campo si parla di tenere la linea, di fare la diagonale, di non tirare in porta. La creatività e la fantasia, così, vengono spianate. Siamo in una situazione drammatica. E’ un’occasione unica per cambiare e per farlo basta mettere le persone giuste al posto giusto. Possibile che conti il risultato nei vivai? Non esiste, tu devi crescere il ragazzo dal punto di vista tecnico, quello che serve per giocare. Non altro. Penso che manchi la strada, la libertà di giocare e di dare spazio alla fantasia. Serve una visione a medio termine, per i prossimi dieci anni».
Parole abbastanza forti.
«Non sono un eretico, però dico quello che penso. Sono una persona normale. Mi dispiace per quelli che hanno le maschere (il riferimento agli opinionisti delle tv nazionali, ndr) e la sera la mettono sul comodino. Il modo di pensare non si può scontrare con il denaro o con la convenienza del momento».
Tutti parlano di vivaio.
«Vedo genitori che si arrampicano alla rete. E magari inveiscono contro l’allenatore o l’arbitro. Ci sono attese spasmodiche su ragazzi di 10-12 anni. Magari il genitore spera che il figlio possa rivolvere i problemi della famiglia con il calcio. E così facendo carica il ragazzino di pressioni che non stanno né in cielo né in terra. Devono essere liberi di giocare e di divertirsi. Per me quello che accade oggi in Italia è orribile».
Lei da un po’ è fuori dal giro.
«In questo calcio, che è la mia passione, non mi ci ritrovo perché sono cambiati i valori. Io vorrei vedere le cose fatte bene per rispetto dei dirigenti e dei tifosi. Certo, io non sono raccomandato, men che meno porto gli sponsor. E nessuno mi chiama. Ma, ogni tanto, c’è bisogno che qualcuno dica certe cose. Dica la verità senza la maschera. Lo dobbiamo al futuro, ai nostri figli per un mondo migliore».
Si rivede nelle battaglie zemaniane?
«Un po’ sì - anche se io sono un galeoniano - mi rivedo in un allenatore che porta avanti certe idee e rispetta il calcio».
Che idea si è fatto del Pescara?
«Non l’ho visto spesso. Però so che Zeman è un allenatore che non ha mai modificato la sua filosofia, al di là degli uomini che ha. Per giocare il suo calcio bisogna avere una difesa alta e certe caratteristiche in avanti. Io credo che questa squadra non creda – forse inconsciamente - fino in fondo in questo calcio proposto da Zeman».
Pescara da play off?
«Questa serie B è mediocre sul piano tecnico. Quindi, il Pescara se la può giocare. Basta vincere tre gare di fila e torni in auge. Questa serie B ti dà spazio per recuperare e tornare in corsa. Bisogna vedere se la squadra ci crede. Zeman non cambia, tocca ai giocatori eventualmente fare un salto di qualità. Finora, la rosa ha dimostrato di avere delle difficoltà oggettive a sviluppare il calcio del boemo».
Che cosa accadrà?
«Se le cose non cambiano può accadere anche che Zeman dia le dimissioni. Da quello che so, prima del via del campionato, stava dando le dimissioni perché non era contento. Poi, sarebbe intervenuto il direttore sportivo Pavone per fermarlo. Forse, il boemo voleva giocatori diversi». Chissà...
@roccocoletti1. ©RIPRODUZIONE RISERVATA