«Quando Volpi multava chi dava la palla dietro» 

L’ex dg del Chieti e del Pescara: «Il tatticismo uccide lo spettacolo»

CHIETI. Un buon portiere, confortato da un fisico alto e asciutto. Un dirigente sportivo tra i più apprezzati nel mondo del calcio. Per competenza, garbo e correttezza.
I tempi di Chieti. Livornese di nascita, abruzzese di adozione, Claudio Garzelli ricorda ancora la sua prima uscita... dai pali. «Fu l’incontro con patron Mario Mancaniello, oltre trent’anni fa, a farmi decidere quella che poteva e doveva essere la mia carriera. Avevo appena smesso di giocare, a quei tempi ero uno dei pochi calciatori laureati, e mi avvicinai al Chieti, in una piazza dove avevo disputato due campionati nei primi anni Settanta. Mancaniello subentrò alla guida della società e mi colpì subito per il modo in cui intendeva organizzare l’intera struttura. Un passo diverso, una modernità, un modo di agire che costituì la mia palestra formativa. E furono otto anni belli e importanti».
Società organizzata e anche, sul terreno di gioco, risultati di un certo spessore: «Arrivammo primi in quattro campionati per poi, purtroppo, perdere due spareggi ai calci di rigore. C’era programmazione e una immagine che portavamo in giro con orgoglio. Tanti bei ricordi. Tra questi la figura di Ezio Volpi, un tecnico che proponeva multe per i calciatori che passavano la palla all’indietro. E poi un gol a Monopoli frutto di una triangolazione tra Pagliari, Sgherri e Chiesa da manuale del calcio. Un rimpianto resta legato ai tanti infortuni, nel girone di ritorno (stagione 91-92 in C1), che un anno condizionarono il cammino di una squadra che poteva davvero arrivare in serie B».
In biancazzurro. Quindi due stagioni a Siena e il ritorno in Abruzzo dietro la scrivania del Pescara di Pietro Scibilia. «Con lui ho sempre avuto un buon rapporto. Parlava poco, ma ascoltava ed osservava parecchio per poi prendere decisioni mirate. Comunque un uomo che in vari sport ha sempre dato un grande contributo. Per passione, per il piacere di farlo, senza altri scopi. Dell’aspetto sportivo si occupava Andrea Iaconi e la mia azione andò a spostarsi sulla parte amministrativa. Si lavorò alla costruzione di un settore giovanile di ottimo spessore con l’arrivo di Cetteo Di Mascio e furono anni intensi con un rimpianto legato ad una promozione in serie A sfuggita all’ultima giornata. C’era una squadra solida e, in panchina, un allenatore che ho sempre stimato come Luigi De Canio».
Di nuovo a Siena e poi quattro anni proficui a Piacenza. «Un bel progetto che portò alla valorizzazione di tanti giovani che hanno poi giocato nella massima serie». Nove anni fa le strade di Claudio Garzelli e del Pescara tornarono ad incrociarsi. «La società era fallita e mi chiamò Peppe De Cecco per lavorare sull'acquisizione del titolo sportivo da parte del Delfino Pescara. Un momento delicato che vide avvicinarsi diversi imprenditori della città e comunque di importanza fondamentale per le sorti della società». Si torna a casa con un breve periodo nel Livorno del presidente Aldo Spinelli, poi l’approdo al Bari di Vincenzo Matarrese e, dopo le dimissioni dello stesso, la carica la carica di amministratore unico.
Come cambia il calcio. Un bagaglio di esperienze, dal manto erboso alla scrivania passando per l’odore di olio canforato di uno spogliatoio. E la domanda sulla difficile situazione del calcio abruzzese appare scontata. «Una situazione simile a quella di diverse altre regioni italiane. Il mondo del calcio è cambiato con l’arrivo, circa 20 anni fa, delle televisioni a pagamento che, pur creando delle nuove opportunità, ha favorito il distacco dalle realtà locali. C’è, in generale, un minor spirito di campanile, insomma. Si sono forse allentati i legami con la città di appartenenza e, a resistere con costanza a determinati livelli, restano quei centri con un bacino di utenza e una visibilità di un certo spessore. Anche in Abruzzo è così ed il Pescara ne è la conferma. Per il resto, in effetti, si attraversa ora un momento delicato dopo aver vissuto, magari, anche delle ottime stagioni. E’ il grande calcio a fare la differenza. Poche centinaia di spettatori anche in occasione di una buona gara di serie C e poi, per una finale di Champions League, arrivano ottocentomila richieste di biglietti a fronte della disponibilità di ottantamila posti».
Inevitabile anche un parere sull’attuale momento del Pescara. L’ex portiere calcola bene la traiettoria e si allunga in una presa sicura. «Non entro in questioni tecniche. Posso solo dire che ho avuto modo di apprezzare quanto l’attuale dirigenza sta facendo sotto il profilo del settore giovanile specie attraverso la struttura realizzata lungo via Tiburtina».
Ed il progetto relativo alla costruzione di un nuovo stadio? «La scelta di avere un impianto di proprietà solo per il calcio non può che essere positiva come dimostrano ampiamente i dati relativi allo Juventus Stadium di Torino, ma, forse, si poteva, a suo tempo, anche ristrutturare in maniera diversa lo stadio Adriatico come, per esempio, è stato fatto di recente a Udine».
Il tatticismo. Un protagonista di oltre mezzo secolo di calcio che continua ad amare questo sport in maniera appassionata anche se... «Anche se, attraverso un esasperato tatticismo, su dieci passaggi otto sono oggi fatti all'indietro e la cosa a volte mi annoia un po’. Chissà. Credo avesse davvero ragione Ezio Volpi, quasi trent'anni fa, a proporre multe per quei giocatori che non puntavano in profondità verso la rete avversaria. E, poi, con tanti commenti urlati spesso a sproposito durante le telecronache, mi mancano quelle voci pacate e competenti, alla Nicolò Carosio, tanto per intenderci, che hanno scandito momenti davvero memorabili della nostra storia calcistica». Nostalgia? No. E' soltanto una questione di stile.
Giuseppe Rendine
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