Ricavi, intuizioni e titoli: così Agnelli detta legge

Il sesto scudetto di fila è il sigillo a un’epoca nata dalle ceneri di Calciopoli

Un campionato dominato, dall’inizio alla fine. Un campionato che consegna questa Juventus alla storia del calcio italiano, visto che per la prima volta una squadra, quella bianconera per l’appunto, raggiunge un apice dove nessuno era mai arrivato, mettendo in fila sei scudetti. A cinque erano arrivate la stessa Juventus (dal 1931 al 1935) e l’Inter (dal 2006 al 2010, di cui uno assegnato a tavolino per le note vicende di Calciopoli). Un epilogo (in parte) annunciato, dal momento che in estate erano stati aggiunti alla squadra che aveva vinto gli ultimi cinque titoli giocatori del calibro di Higuain e Pjanic, prelevandoli dalle rivali più agguerrite delle ultime stagioni.
L’ossatura e il management. Un dominio negli anni che ha resistito ai cambiamenti sia nella rosa che in panchina. Certo, c’è un’ossatura (Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Marchisio e Lichtsteiner) che ha fatto da collante, ma negli anni i bianconeri hanno vinto prima con Antonio Conte e poi con Massimiliano Allegri in panchina. Prima con Vucinic e Quagliarella e poi con Morata, Pogba e Higuain. Una squadra nel tempo sempre più forte con innesti mirati grazie alla crescita dei ricavi. I soldi, però, non bastano, perché permettono sì di fare delle scelte mirando in alto, ma se poi le sbagli sono dolori. E allora va dato merito alla premiata ditta Marotta&Paratici, i principali riferimenti di Andrea Agnelli, di aver limitato gli errori, centrando scelte che hanno fruttato titoli e solidità economica. Le plusvalenze di Vidal, Pogba e Morata sono storia recente. L’intuizione di andare a prendere Andrea Pirlo, svincolato dal Milan, e Dani Alves, lasciato libero dal Barcellona, si sono rivelate un valore aggiunto.
Gli allenatori. All’inizio, nel 2012, era la Juve di Antonio Conte, simbolo della juventinità, essendo stato giocatore e capitano bianconero. Il tecnico ha ereditato una squadra settima in classifica nella stagione precedente, le ha dato un’impronta e l’ha rilanciata. È giunta imbattuta al traguardo, soffiando il titolo al fotofinish al Milan di Allegri. Sono arrivati altri due scudetti prima del divorzio del luglio del 2014. Tutti con il marchio della difesa a tre. L’addio di Conte è stato traumatico, basti ricordare gli insulti che hanno accolto Allegri il primo giorno a Vinovo. Ma anche questa si è rivelata una scelta giusta. Pardon, migliorativa, perché la Juve di Conte vinceva in Italia, quella di Allegri ha assunto una dimensione più europea, centrando al primo impatto la finale della Champions, poi persa contro il Barcellona nel 2015, bissata in questa stagione con la sfida di Cardiff col Real Madrid. Il tecnico livornese è entrato in punta di piedi nel mondo bianconero, assecondando l’onda lunga e un po’ alla volta guidandola verso traguardi più ambiziosi. Ha alzato l’asticella. Ha continuato a vincere e vincendo ha aumentato il proprio peso decisionale, guadagnandosi la stima dei giocatori e della società. Formidabile sul piano tattico, ancor più nella gestione delle risorse umane.
La svolta. Non a caso un passo importante dell’ultima stagione è stato quello relativo al caso Bonucci, dopo il battibecco della partita con il Palermo. Allegri ha chiesto e ottenuto la punizione del difensore mandato in tribuna nella (successiva) sfida di Champions contro il Porto. Una decisione che ha rafforzato la figura dell’allenatore quando già si cominciava a parlare di divorzio a fine stagione. E poi c’è la svolta dopo la sconfitta di Firenze, la scelta di gennaio quando ha calato tutti gli assi in campo nella partita vinta in casa contro la Lazio. Giocavano a turno i big e per svegliare una squadra che andava incontro all’assuefazione ecco l’attacco a cinque stelle. Tutti i migliori contemporaneamente nel 4-2-3-1 con Higuain punta centrale, il centravanti Mandzukic adattato a sinistra, Dybala trequartista e Cuadrado a destra con Pjanic nel ruolo di regista al fianco di Khedira. Sembrava un azzardo e, invece, è stata l’accelerazione che ha fiaccato la resistenza delle rivali. Ha permesso alla Juve di sprigionare tutto il potenziale. Intuizione geniale quella di Allegri, che è stato ancora più bravo nell’insistere senza mettersi paura di eventuali squilibri tattici. Campionato condotto dall’inizio alla fine da protagonista con i gol di Higuain, lo spirito di sacrificio di Mandzukic, l’affermazione del talento di Dybala e i guizzi di Cuadrado. Ma anche, se non soprattutto, grazie alla tenuta difensiva garantita dai senatori bianconeri.
Casa dolce casa. E poi c’è il fattore Stadium che raccoglie tante di quelle considerazioni espresse finora: la Juve ha sempre vinto in casa questa stagione, tranne che l’ultimo derby pareggiato con il Torino che ha spezzato la serie di 33 successi in casa. Non perde davanti al proprio pubblico dall’agosto del 2015, era la prima giornata di campionato, quello della clamorosa rimonta: 1-0 per l’Udinese, gol di Thereau. In quel catino che è lo Stadium si esaltano qualità caratteriali e tecniche. È il teatro in cui il talento e la forza vanno a braccetto fino alla leggenda, un’epopea rappresentata da sei scudetti di fila. E siccome la Juventus assomiglia a un cannibale ed è insaziabile, la stagione riserva un’altra preda, dopo scudetto e coppa Italia: c’è la finale di Champions, sabato 3 giugno a Cardiff contro il Real Madrid, nel mirino per scrivere un’altra pagina di storia. Fino alla fine, così come lo slogan di questa Juventus.