Il goleador del Pescara si racconta: «Vivevo in una casa occupata, non avevamo soldi per le bollette»<BR>

Soddimo: la mia infanzia difficile

«Mio fratello e la passione per il calcio mi hanno tolto dalla strada»

 PESCARA. Il Cassano di Pescara. Infanzia difficile in una delle borgate più malfamate della periferia di Roma. Senza soldi, in mezzo alla strada con le scarpe rotte tirava i calci al pallone nei vialoni del suo quartiere, San Basilio. In Brasile l'avrebbero chiamato il «meninos de rua». L'infanzia di Danilo Soddimo è stata davvero difficile.  Una storia strappalacrime. Quando il calcio salva gli adolescenti. Danilo Soddimo è stato salvato e con i suoi gol, due finora, vuole salvare anche il Pescara. «Ero un ragazzo di strada. Ho avuto paura di finire male, tipo in galera o in mezzo a giri strani». La voce narrante è quella di Soddimo con il suo spiccato accento romano. «Da ragazzino non andavo a scuola e passavo giorno e notte in mezzo alla strada a giocare a pallone». L'infanzia difficile nel supermarket della droga di Roma. «Per pjià la "roba" te danno er biglietto a San Basilio», ricorda. «Devo ringraziare mio fratello Tiziano che mi ha tolto dalla strada. Ho iniziato a giocare nella squadra del mio quartiere, poi nel 2004 il grande salto nella Sampdoria». Da lì in poi la vita del giovane attaccante del Pescara è cambiata. «Devo ringraziare mia madre, mio fratello e Gesù se sono arrivato fino a qui. Se rimanevo per strada chissà cosa avrei fatto. Comunque non rinnegherò mai le mie origini e i posti dove sono vissuto». Mamma Anna Maria adesso spesso viene a Pescara a trovare il suo "gioiello", ma prima non era affatto così. «Mi è sempre stata vicina con enormi sacrifici», quasi si commuove il "pischello" che tifa Roma e sogna di giocare in serie A con la maglia del Pescara. «Quando ero a Genova non riuscivo mai a vederla, perché non avevo nemmeno i soldi per tornare a casa. E nemmeno mamma, visto che in quel periodo a livello economico eravamo messi davvero male. Anzi, lei non aveva nemmeno i soldi per pagarsi il biglietto del treno. Sono stati momenti molto brutti per noi, mia madre faceva la donna delle pulizie, ma il lavoro era sempre precario. A casa non potevamo permetterci di fare la spesa tutti i giorni. Non ho mai fatto un pasto completo, ma non mi pento della mia vita. Vivevo in una casa occupata senza luce, perché non c'erano nemmeno i soldi per le pagare le bollette».  Primi calci al pallone a piedi nudi. «Avevo le scarpe rotte e non avevo i soldi per comprarle. Le prime scarpette da calcio me le hanno regalate. La mia è stata un'infanzia problematica, dove ho capito quali sono i veri valori della vita».  Adora Eusebio Di Francesco, l'allenatore che sta tirando fuori il meglio da lui. «Il mister è un grande. Non posso dimenticare quando andavo allo stadio Olimpico a tifare per lui quando giocava nella Roma».  Anche allo stadio Soddimo ne ha fatte di cotte e di crude. «Zompavo sempre», ride, «scavalcavo sempre le recinzioni perché figurati se avevo soldi per pagare il biglietto», e alcune volte sono arrivate anche le manganellate della polizia. «Sì, le ho prese. Mi mettevo i giornali sotto i vestiti per attutire i colpi del manganello». E poi il sogno del 23enne biancazzurro, che ieri ha festeggiato il suo compleanno. «Voglio crescere qui e magari un giorno tornare all'Olimpico a sfidare la mia Roma con la maglia del Pescara. Sarebbe un sogno». Come direbbero i suoi amici romani:»Daje, Danì!».

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