UNA MAGLIA GIALLA NELL’ESTATE IN BIANCO E NERO

Era l'estate di Luiselle che esortava gli italiani ad andare a mietere il grano e della prima (e unica) volta dei Beatles in Italia. Poi, lui partì come gregario di Adorni, prese la maglia gialla e...

Era l'estate di Luiselle che esortava gli italiani ad andare a mietere il grano e della prima (e unica) volta dei Beatles in Italia. Poi, lui partì come gregario di Adorni, prese la maglia gialla e non la mollò fino a Parigi. Diventò così l'estate di Gimondi. Era l’estate del 1965. L’Italia s’innamorò di quel ragazzo bergamasco taciturno e ancora magro come un chiodo che aveva dato la paga a campioni francesi come Anquetil e Poulidor, vincendo il Tour de France a soli 23 anni. Ai francesi, per dirla con Paolo Conte, «le balle ancora gli girano». A noi, a chi quell’estate bellissima la visse da bambino davanti a un televisore panciuto come il Sergente Garcia, restano i ricordi in bianco e nero di un’eleganza di gesti che, ai nostri padri faceva venire i lucciconi, con la mente che correva verso Fausto Coppi, il nostro Campionissimo morto appena cinque anni prima. A loro, ai nostri vecchi, che poi erano ancora giovani, sembrò che quella vittoria al Tour ci potesse restituire la gioia di un altro Coppi. Di poche parole come l’eroe biancoceleste della Bianchi, Gimondi alimentò quel sogno prima che un altro Campionissimo, Eddy Merckx, gli tagliasse la strada della gloria senza ombre. Ma Gimondi aveva ciò che al Cannibale belga mancava: l’eleganza della fatica non esibita. E come uno di quei testardi muratori della sua terra, lasciò anche lui un’opera destinata a durare nel tempo, non della consistenza di calce e mattoni, piuttosto un arazzo leggero, disegnato sulle strade del mondo, tessuto con il sottile ma indistruttibile filo di cui sono fatti i nostri ricordi e i nostri sogni.
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