Antonella Cerasoli

Celano

Storia di Antonella: «Licenziata due mesi prima di morire»

Discount avrebbe lasciato a casa la dipendente malata di tumore. La sorella denuncia: «Le hanno richiesto anche 20 euro»

CELANO. «Mia sorella era una malata terminale. L’hanno licenziata due mesi prima di morire. E poi le hanno chiesto anche 20 euro per un ammanco su una vecchia busta paga. Capisco che non c’è umanità quando si tratta di affari, ma questa storia merita di essere raccontata. Lo devo ad Antonella».
Marina Cerasoli non ha ancora esaurito le lacrime dopo la scomparsa dell’amata sorella. Antonella Cerasoli aveva 42 anni ed era di Celano. Era impiegata in una nota catena di discount che ha negozi anche ad Avezzano. Aveva un contratto a tempo indeterminato ottenuto il 16 dicembre 2010. Il 27 febbraio scorso le sarebbe arrivata in casa la lettera di licenziamento per giusta causa. Il 25 aprile Antonella è morta per un tumore.
«Sapeva che stava morendo, ma non si rassegnava a questo licenziamento», racconta Marina Cerasoli, «aveva contattato anche un avvocato perché si sentiva vittima di un’ingiustizia, era stata diverse volte negli uffici dell’Inps, voleva rivolgersi a un sindacato. Ma non c’è stato il tempo di lottare. Voglio raccontarla io questa storia». Una vicenda dolorosa per la famiglia Cerasoli. «Antonella era una donna meticolosa, molto legata al suo lavoro», sottolinea la sorella, «finché ha potuto non si è assentata neanche per un giorno. Anche quando faceva le chemio tornava nel discount. L’azienda era perfettamente a conoscenza della malattia. Non ha avuto pietà. Poteva aspettare qualche mese, tanto nulla sarebbe cambiato, e invece è arrivata la lettera di licenziamento. È difficile parlare di tutto questo, ma Antonella era diventata un simbolo di forza, un esempio di vita per tutta la nostra famiglia e in questo modo potrà diventarlo anche per chi ogni giorno lotta per una causa giusta. Mia sorella ha scelto di vivere i suoi ultimi giorni lontano dalla sua casa, non voleva che il suo bambino la ricordasse malata. Una donna piena di amore, con tanta dignità. In questa storia andremo avanti: il marito di mia sorella, al quale lei era legata da un profondo amore, ha tutte le carte che dimostrano che quello che diciamo corrisponde a verità. Mia sorella ha continuato ad andare al lavoro fino a quando ce l’ha fatta. Non ha approfittato di nulla e si è sacrificata, perché voleva lavorare ed era orgogliosa di quello che faceva. Non aveva neanche usufruito di tutto il periodo di malattia previsto per legge. Sono convinta che i suoi colleghi potranno testimoniare la sua dedizione sul posto di lavoro». Quindi la conclusione. «Antonella aveva più volte provato a chiamare i datori di lavoro», aggiunge Marina Cerasoli, «anche dal letto dell’ospedale continuava a telefonare per avere spiegazioni. Voleva solo capire perché le stavano facendo questo. Non le hanno mai parlato e a un certo punto un centralinista le ha risposto: mi dispiace, non so più che cosa dirti, non vogliono parlarti». Il Centro ha provato a contattare la catena di discount e dopo un giro di telefonate in mezza Italia ci è stato risposto che occorreva fare una mail. Così abbiamo fatto. Attendiamo risposte.

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