Acqua a rischio, c’è la seconda inchiesta 

Gli ulteriori accertamenti interessano gli esperimenti svolti nei laboratori e in particolare il loro impatto ambientale

TERAMO. La richiesta di rinvio a giudizio per dieci persone nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla Procura di Teramo sul sistema Gran Sasso chiude solo una prima tranche delle indagini affidate dal procuratore Antonio Guerriero al pool di magistrati composto dai sostituti procuratori Greta Aloisi, Davide Rosati e Stefano Giovagnoni. Gli accertamenti su quello che la Procura ha più volte definito come un costante pericolo della falda acquifera hanno portato infatti all’apertura di un secondo fascicolo d’indagine, per il momento senza indagati, che da quanto si apprende interesserebbe alcuni esperimenti svolti nei laboratori e il loro eventuale impatto ambientale. Sul secondo filone d’inchiesta vige il massimo riserbo, ma è evidente che l’obiettivo della Procura è quello di operare accertamenti a tutto campo al fine di fare chiarezza su tutto il sistema.
Intanto, nei giorni scorsi, il pool di magistrati che da mesi indaga sul pericolo di inquinamento dell’acqua del Gran Sasso ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per dieci persone, tra vertici dell’Istituto di fisica nucleare, di Strada dei Parchi e di Ruzzo Reti, nell’ambito del primo fascicolo di indagine. Richiesta di rinvio a giudizio che interessa anche le società Strada dei Parchi e Ruzzo Reti nei confronti dei quali la Procura ipotizza l’ipotesi di illecito amministrativo. I reati contestati ai dieci imputati sono quelli già definiti nell’avviso di conclusione: l’inquinamento ambientale e il getto pericoloso di cose. In particolare, come scritto nel capo di imputazione, la Procura contesta ai vertici dell'Infn di aver mantenuto in esercizio i laboratori senza aver verificato se vi fosse «un adeguato isolamento idraulico delle opere di captazione e convogliamento delle acque destinate ad uso idropotabile ricadenti nella struttura rispetto alle limitrofe potenziali fonti di contaminazione» e quindi senza attuare le misure «atte a scongiurare il rischio di contaminazione delle acque sotterranee», così come di aver omesso di adottare «le misure necessarie per l'allontanamento della zona di rispetto delle sostanze pericolose detenute ed utilizzate nelle attività dei laboratori». Ai vertici della Strada dei Parchi, la Procura contesta, come si legge sempre nel capo di imputazione «di aver mantenuto in esercizio le gallerie autostradali senza verificare l’esistenza di un adeguato isolamento delle superfici dei tunnel autostradali e delle condutture di scarico a servizio delle gallerie rispetto alla circostante falda acquifera e, di conseguenza, senza attuare le misure atte a scongiurare il rischio di contaminazione della falda acquifera». Alla Ruzzo Reti, infine, la Procura contesta di non aver verificato, così come scritto nel capo d’imputazione, «se vi fosse un adeguato isolamento delle opere di captazione e convogliamento delle acque sotterranee destinate ad uso idropotabile» ricadenti nelle strutture dei laboratori e nei tunnel autostradali».
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