Il giudice del lavoro di Teramo Maria Rosaria Pietropaolo

Atri, medico deve fare il papà: giudice gli ridà il part-time

Professionista dell’ospedale di Atri fa ricorso contro la Asl e vince. Il manager Fagnano: dobbiamo garantire un servizio ma non è facile

ATRI. Ogni genitore lo sa: i figli restano sempre piccoli, da aiutare e sostenere. Soprattutto dopo la morte di una mamma. In un mondo che tutto centrifuga e troppo anestetizza, la costruzione dei diritti è sempre progressiva e passa nelle aule di tribunale. C’è voluto il pronunciamento di un giudice del lavoro per stabilire che un medico della Asl, dopo aver perso la compagna e ottenuto il tempo ridotto per accudire i due figli all’epoca minori, debba continuare ad avere questo inquadramento. Anche se sono passati sette anni e i ragazzi oggi sono cresciuti.

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Il caso è quello di un dirigente medico del pronto soccorso di Atri che qualche giorno fa si è visto accogliere il ricorso dal giudice del lavoro Maria Rosaria Pietropaolo che ha concesso la sospensiva. Il magistrato ha annullato il provvedimento con cui a giugno la Asl aveva rivisto il regime del tempo ridotto, concesso nel 2010 al dipendente, adducendo quale motivazione, si legge nell’ordinanza «il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli minori del ricorrente e la necessità aziendale di recuperare forza lavoro a fronte delle esigua dotazione organica di personale aggravata dall’approssimarsi del periodo di fruizione delle ferie estive». Il medico, assistito dall’avvocato Alessandra Giuliani, ha subito impugnato la decisione della Asl perchè, ha scritto il legale nel ricorso, «il tempo non può attenuare l’ansia per il dover provvedere in via esclusiva alla cura degli interessi dei ragazzi ancora bisognosi di stabile guida perchè negli anni, oltre a continuare a fare i propri turni lavorativi con passione e dedizione, il medico ha assunto il gravoso compito di unico genitore di riferimento di due figli necessitati comunque ancora oggi di supporto materiale psicologico essendo la perdita di una madre episodio che lascia un solco indelebile nella vita di un adolescente». E non solo. Il medico nel ricorso ha scritto «di non poter affrontare all’età di 62 anni e dopo sette anni di ritmi ridotti il ritorno al regime di tempo pieno dovendo anche avere riguardo al bene vita e salute dei fruitori del servizio sanitario espletato».
Nel suo articolato provvedimento il magistrato ha giuridicamente stabilito due cose a fondamento della sua decisione: il mancato consenso del dipendente e le sue condizioni psicofisiche. Scrive il magistrato: «Appare evidente, alla luce del quadro normativo esistente, che la Asl, nel momento in cui ha ravvisato l’esigenza di ritornare ad un rapporto a tempo pieno ed ha revocato il regime a tempo ridotto, modificando unilateralmente quanto in precedenza assentito e concordato con il proprio dipendente, ha esercitato un potere che nessuna norma le riconosce. Da ciò deriva la manifesta illegittimità del provvedimento di revoca del part time che, a ben vedere, poteva essere adottato solo ed esclusivamente sulla base del consenso del dipendente». E conclude, riferendosi alle condizioni psicologiche del medico, «la situazione di grave disagio in cui versa il ricorrente rende assolutamente inopportuna l’adibizione dello stesso a ritmi lavorativi che, allo stato, appaiono incompatibili con le sue attuali condizioni psico-fisiche».
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