Bancarotta, sequestrati beni per 1,3 milioni 

Indagine della guardia di finanza di Ascoli Piceno su una società di trasporti della Val Vibrata

ASCOLI PICENO. La Guardia di finanza di Ascoli Piceno ha eseguito un decreto di sequestro preventivo di beni, emesso dal gip di Teramo, per un valore complessivo di oltre 1,3 milioni di euro tra automezzi e mezzi agricoli, un fondo agricolo di 7,5 ettari con annessi due fabbricati, più latri sei fabbricati. Il provvedimento è scaturito da un'indagine sul fallimento di una società di trasporti della Val Vibrata, che ha consentito di individuare un nucleo familiare i cui componenti, dopo aver affidato l'amministrazione della società a un prestanome, avrebbero attuato operazioni fraudolente per distrarre i beni dalla massa fallimentare sottraendoli ai crediti. Il trasferimento di beni e risorse finanziarie ad altre persone fisiche e soggetti giuridici, sempre riconducibili allo stesso nucleo familiare, avrebbe consentito agli indagati di proseguire le attività economiche utilizzando, di fatto, gli stessi asset patrimoniali e commerciali della società fallita e, al contempo, di mettere al riparo i beni dalle azioni di recupero già in corso da parte dell'amministrazione finanziaria (Iva, Irap, addizionali comunali e regionali, ritenute non versate per oltre 1,8 milioni di euro). Nel dettaglio, le attività illecite sarebbero consistite nelle seguenti operazioni attuate dai proprietari della ditta di autotrasporti in prossimità del fallimento: distrazione di 31 automezzi (camion, autoarticolati, motrici, rimorchi, macchine agricole ecc.) in favore di altra società a loro stessi riconducibile; distrazione di crediti commerciali per oltre 100.000 euro in favore di un’altra società, individuata dalla Finanza come “evasore totale”, utilizzata ad hoc e nel successivo trasferimento delle somme riscosse, attraverso una serie di atti dispositivi simulati, sempre in favore della nuova società; distrazione di un’intera azienda agricola in favore di uno degli indagati; dissimulazione dello stato di dissesto al fine di ottenere indebitamente accesso al credito bancario; occultamento delle scritture contabili della società fallita, con il coinvolgimento di un amministratore prestanome e di un compiacente consulente contabile; perfezionamento di una serie di donazioni immobiliari in favore di prossimi congiunti, con la finalità di rendere inefficaci le procedure di riscossione coattive nel frattempo avviate nell’interesse dell’erario.
«Raggiunto l’obiettivo di depauperare il patrimonio sia dei soci/amministratori che della società», si legge in una nota della Finanza, «quando la situazione debitoria era diventata ormai insanabile, la società è stata abbandonata nelle mani di un prestanome, appositamente reclutato, con l’inevitabile conseguenza del fallimento».