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Brucchi: me ne vado se non si può lavorare

Il sindaco avverte alleati, scontenti e oppositori: «Ora servono i risultati e bisogna parlare di temi veri. Vediamo se ci si riesce, altrimenti tutti a casa»

TERAMO. L’emergenza terremoto sembrava aver risolto i problemi politici che hanno tormentato fin dall’inizio il secondo mandato di Maurizio Brucchi. Invece il ri-allargamento della giunta a nove ha creato nuovi scontenti nel sempre più sfilacciato centrodestra cittadino e messo a serio rischio i numeri della maggioranza. Il sindaco, in un’intervista al Centro, parla del difficile momento politico-amministrativo. Non nega le difficoltà, ammette anche qualche errore, ma fa soprattutto un appello alla responsabilità di tutti i consiglieri e lancia un avviso: se non si può lavorare, se non si fanno i risultati, meglio andare a casa.

Sindaco, come si è arrivati allo sfaldamento? Ovvero: è fondata la critica dei dissidenti secondo cui consiglieri e gruppi non vengono coinvolti nelle decisioni?

«Per quanto mi riguarda la condivisione l’ho sempre cercata, poi di quello che succede nei gruppi non posso occuparmene. Ho avuto un rapporto sempre molto diretto con i consiglieri. Di riunioni di maggioranza ne abbiamo fatte tante, ma è pur vero che è il leader di una lista a prendersi la responsabilità e ad avere la delega di rappresentarla, altrimenti viene meno un intero sistema».

Nell’ultimo caso, quello della giunta tornata a nove?

«Io i passaggi che dovevo fare li ho fatti, a me i leader dei gruppi hanno detto che si poteva fare. Di sicuro in questa seconda consigliatura si è perso più tempo a parlare degli assessori che dei problemi, e per questo rimprovero me stesso prima che gli altri. Invece ora più che stare a parlare di politica si deve spostare il discorso sui temi, la gente ha problemi seri e non vuole sapere delle nostre beghe. Gli archivi di questi anni sono pieni di discussioni sul nulla mentre ora bisogna parlare di ricostruzione pubblica e privata, di scuole, di gestione dell’emergenza, di progetti strategici per la città».

Giusto. Ma di chi è colpa se in questi tre anni non si è parlato dei temi veri?

«Le prime avvisaglie ci furono all’inizio quando non fu data rappresentanza alla lista di Dodo Di Sabatino, lì ho sbagliato io e l’ho già detto. Però poi in questi tre anni ci sono state situazioni che non riesco a spiegarmi: perché sono usciti Al centro per Teramo e Fdi-An? Io non lo so, i veri motivi ancora mi sfuggono. Sta di fatto che oggi il quadro politico è cambiato totalmente. La dinamica forte nei gruppi non è di per sé negativa, può anche condizionare positivamente l’azione amministrativa. Ad esempio, Teramo Soprattutto si è formata da questo rimescolamento ma ha dimostrato affidabilità».

Giovedì in consiglio ci sarà il primo test per la non-maggioranza nata dagli ultimi eventi.

«Il consiglio di giovedì sarà importante ma non determinante, è determinante invece capire se ci sono i presupposti per portare avanti l’azione amministrativa. In questi giorni sicuramente incontrerò gli scontenti. Una cosa è certa: il discorso responsabilità non vale solo per la maggioranza, ma anche per chi si è chiamato fuori e coglie ogni occasione per prendere le distanze da questa amministrazione. La gestione del post-terremoto non ha colore politico e anche chi continua a fare opposizione strumentale ha le sue responsabilità e sarà chiamato dalla città a rendere conto delle sue scelte. L’onere maggiore ce l’ha la maggioranza, d’accordo, ma non è che gli altri sono esenti: troppo facile e troppo comodo».

Ma esclude o no che si possa cambiare ancora la giunta per accontentare i consiglieri a rischio defezione?

«Dico solo che ai cittadini non interessa quanti siamo, ma che chi sta lì faccia bene il proprio lavoro e dia risposte ai problemi. Io, peraltro, quando c’era da ridurre gli assessori li ho ridotti».

Si dice che il centrosinistra stia facendo campagna acquisti tra la sua maggioranza.

«Io credo che questo non sia vero perché conosco i consiglieri della mia maggioranza e sono persone che sicuramente non scenderebbero alla mercificazione della politica, sarebbe una cosa di una gravità unica e lì davvero si darebbe ragione ai grillini e all’antipolitica. Ma sarebbe una sconfitta anche per chi portasse avanti questa operazione».

Intanto il cosiddetto modello Teramo si è sfaldato e dei sei leader politici del centrodestra che fu ne sono rimasti solo tre al suo fianco.

«Questo è assolutamente vero. Hanno continuato con me Gatti, Tancredi e Di Sabatino oltre a Forza Italia. Gli altri (il riferimento è a Morra e Di Dalmazio, ndr) devono spiegare ai teramani perché non sono più con me e con il progetto politico che ci aveva visto uniti e compatti alle elezioni vincendo una battaglia difficile. Se il modello Teramo non esiste più io ho le mie responsabilità, ma non posso averle tutte».

E di Chiodi che dice?

«È una persona che stimo ma quella sua dichiarazione contro la mia amministrazione fatta in un momento difficile mi è dispiaciuta. E soprattutto non ha aiutato».

All’orizzonte c’è anche una sua possibile candidatura al Parlamento con Forza Italia, che la costringerebbe a dimettersi a fine estate.

«In questo momento è difficile parlare del futuro, c’è un complesso presente da affrontare. Un presente che condiziona il futuro non solo mio ma di ognuno di noi. E per le politiche ci sono tante variabili da definire».

Ha detto spesso in questi anni che ha un lavoro e non sta seduto lì a dispetto dei santi, ma poi è sempre rimasto al suo posto. Stavolta?

«Stavolta è diverso. Vediamo cosa succede e poi vedrò cosa devo fare. In questo momento storico ci sono decisioni importanti da prendere e certe cose si possono fare solo se c’è una maggioranza coesa. Tirare a campare non mi interessa più, ormai sono otto anni che faccio il sindaco, dando tutto me stesso, e 17 che faccio politica in Comune: forse troppi. Ci sto se ci sono i presupposti, altrimenti si va tutti a casa».

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