«Ero quasi morto ma i medici hanno lottato insieme a me» 

L’imprenditore D’Ottavi, malato di una rara sindrome, racconta la sua drammatica esperienza «Per quattro ore sono diventato di marmo, totalmente incosciente: mi hanno curato al meglio»

TERAMO. «Ero quasi morto, non reagivo ai richiami e al dolore. Non si riusciva a capire che cosa avessi. Per i medici sarebbe stato facile mettermi da parte, buttare la spugna. Ma mi sono stati accanto, tentando tutto fino a quando non mi sono ripreso». A parlare è Vittorio D’Ottavi, imprenditore residente a Sant’Egidio, da tempo malato una grave patologia progressiva, la sindrome dell'uomo rigido. Una malattia rarissima – in Italia non colpisce più di 50 persone – che paralizza le articolazioni.
Non si sa bene che cosa sia accaduto nella notte fra venerdì e sabato scorsi. D’Ottavi è costretto da anni a letto, accudito amorevolmente dalla moglie, e aveva trascorso la sera con figli e nipoti fino a dopo le 23, quando la compagnia si è sciolta. «Quello che racconto è stato ricostruito dai miei familiari e dai referti, visto che io non ricordo niente», premette D’Ottavi, «fatto sta che alle 3 ho lanciato un urlo: mia moglie si è svegliata e mi ha scosso. Ero diventato rigido, avevo gli occhi aperti e non rispondevo. Hanno chiamato 118, è venuto un medico, ma io ero insensibile anche ai pizzicotti». Il paziente viene portato all’ospedale di Teramo in codice rosso.
«Al pronto soccorso il medico mi pizzicava, tentava di scuotermi, avevano difficoltà persino a trovarmi una vena», riprende D’Ottavi, «ero diventato di marmo. E’ stato chiamato il neurologo. Non riuscivano nemmeno ad aprirmi la bocca o a piegarmi un dito. Avevo gli occhi spalancati e se me li chiudevano, si riaprivano. Ero completamente incosciente ma respiravo e tutti i valori erano a posto. Mi hanno fatto la Tac, e poi quella con contrasto, ma era tutto a posto. Mi hanno fatto un elettroencefalogramma: sempre nulla di strano. A quel punto erano passate quattro ore e hanno iniziato a pensare che la morte fosse imminente. Ma a un certo punto ho alzato il braccio e ho fatto cenno che mi facevano male le piaghe da decubito che ho da tempo. Pian piano ho ricominciato a muovermi». D’Ottavi dopo una serie di accertamenti sabato è stato dimesso. Una diagnosi certa di quel che è accaduto non c’è. «In 35 anni ho subito 25 ricoveri e sono anche stato trattato in maniera inappropriata», commenta, «stavolta devo sottolineare l’umanità e la professionalità dei medici che mi sono stati vicini, tentandole tutte, da quelli del pronto soccorso Isabella Tracanna, Alessandra Ferri e Mariapaola Di Bartolomeo al neurologo Giuseppe Galliè, a un cardiologo di cui non ricordo il nome, purtroppo. Si parla sempre di malasanità, io ho visto persone che hanno fatto il loro dovere con passione e professionalità. Anche quando tutto sembrava perduto, il personale non ha mollato».
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