In cella per il soprannome la Cassazione lo fa liberare

Sei mesi in carcere con l’accusa di essere coinvolto in un maxi traffico di droga dopo l’intercettazione di due detenuti. Per i giudici «indizi insufficienti»

TERAMO. Per sei mesi è rimasto in carcere per un nomignolo. Poi è arrivata la Cassazione a stabilire che gli indizi a suo carico valutati sia dal gip sia dai giudici del Riesame erano insufficienti. Per questo la Suprema Corte, accogliendo il ricorso del difensore, ha annullato l’ordinanza del Riesame, rinviando gli atti ai magistrati aquilani che hanno scarcerato l’uomo.

Arben Kercuku, 38enne albanese titolare di un negozio di finestre vicino a Tirana, era finito a Castrogno perché accusato di essere l’uomo il cui soprannome Nari era stato intercettato nel corso di una conversazione di due detenuti suoi connazionali che ne avevano parlato come persona coinvolta in un maxi traffico di droga. E non solo. L’appartamento da cui, all’epoca dei fatti qualcuno buttò due chili di eroina da una finestra all vista dei finanzieri, era della sua fidanzata: ma lui al momento della perquisizione non era in casa. Scrivono i giudici della Suprema Corte nell’accogliere il ricorso presentato dall’avvocato Nello Di Sabatino: «Seppure ai fini dell’applicazione dell misure cautelari personali è necessaria un probatio minor di quella richiesta per la condanna – essendo sufficiente una qualificata probabilità di colpevolezza, anzichè la prova della responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio” – l’identificazione del soggetto nei confronti del quale si procede deve essere sufficientemente precisa e tranquillizzante». E ancora: «nel provvedimento limitativo della libertà personale non sono stati adeguatamente esposti gli elementi sulla scorta dei quali si possa affermare con certezza che il ricorrente si identifichi in Nari, nè che gli occupasse stabilmente l’alloggio perquisito».

Il difensore aveva fatto ricorso in Cassazione dopo che il tribunale del Riesame aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare per il suo assistito, impugnando il provvedimento dei giudici aquilani. E i magistrati aquilani nell’ordinanza di scarcerazione arrivata dopo il pronunciamento della Suprema Corte scrivono: «Dalle risultanze investigative in atti non è dato ravvisare sufficienti elementi convergenti e tali da far apparire con elevata probabilità che il Nari sia effettivamente identificabile con il ricorrente».

Per l’uomo, intanto, dopo la scarcerazione è iniziato il processo davanti al tribunale teramano. «Processo», commenta Di Sabatino, «durante il quale ci auguriamo di poter dimostrare la totale estraneità del mio assistito ai fatti contestati».(d.p.)

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