Marinaro, un cuore da storico preso in prestito dalla politica

Per 5 anni presidente socialista del consiglio regionale ai tempi della democristiana Nenna D’Antonio «La stabilità di quei momenti ha consentito alla regione di crescere, ma tanti sono stati gli sprechi»

TERAMO. Una faccia può trasformare cifre e bilanci in vita vera, l’unico antidoto all’assuefazione del quotidiano. Se parliamo di Egidio Marinaro basterebbe quello che nel 1993 Sergio Turone scrisse nel libro “Agonia di un regime: il caso Abruzzo”: «Marinaro è uno dei pochissimi socialisti abruzzesi che negli anni novanta presero le distanze dal vorace rampantismo del Psi».

Intellettuale prestato alla politica con la passione per la storia, sindacalista nella Uil di Giorgio Benvenuto, Marinaro è il presidente del consiglio regionale che negli anni ottanta apre alla società civile perchè lo Stato è persona non astrazione. E nell’allora Abruzzo di Remo Gaspari e Domenico Susi sceglie di far entrare il palazzo nella vita degli abruzzesi aprendolo ai cittadini e alle associazioni. Lui, che a 17 anni è diventato corrispondente del Messaggero, conosce bene l’importanza della comunicazione: sua l’idea della prima rivista del consiglio nei tempi senza internet e social. Per cinque anni all’Emiciclo con Anna Nenna D’Antonio alla guida della giunta in una regione che, dice oggi, «cercammo di amministrare con la consapevolezza di essere soprattutto legislatori».

Come nasce la passione politica e quella per il partito socialista?

«In famiglia, da mio padre Mario allora socialista, un social democratico che all’epoca era un epiteto dispregiativo. Da giovanissimo ho aderito al Psdi di Saragat di cui sono diventato dirigente provinciale. Nella successiva scissione tra il Psdi e il Psi ho deciso di rimanere con quest’ultimo di cui nel 1978 sono diventato segretario provinciale».

Lei è stato presidente del consiglio regionale dal 1980 al 1985 e nei successivi cinque anni consigliere e presidente di varie commissioni. Che Abruzzo era?

«Sono stati i tempi in cui l’Abruzzo è cresciuto, ma sicuramente erano tempi diversi. Non tutte le scelte che all’epoca furono fatte dai partiti furono indovinate e oggi la regione paga anche le conseguenze di quelle scelte. Ma allora erano compatibili con lo sviluppo e quando c’è la disponibilità di mezzi gli sprechi non si vedono. Era l’Abruzzo che aveva nel ministro Remo Gaspari per la Dc e nel sottosegretarioDomenico Susi per il Psi i grossi riferimenti romani. E in questo contesto noi come socialisti cercammo di portare avanti l’elemento della programmazione. Abbiamo cercato di fare un sviluppo programmato, ma il rapporto di forza con la Dc era sbilanciato e questo obiettivo non sempre è stato raggiunto. Io credo che complessivamente abbiamo lavorato bene, anche se i meriti devono essere gli altri ad attribuirli. Su una cosa ci siamo sempre trovati d’accordo: la consapevolezza delle responsabilità istituzionali e in questo abbiamo fatto tutti il nostro dovere. Perchè le leggi hanno sempre una funzione comunicativa: fanno parte del discorso pubblico su come una società considera se stessa e le proprie relazioni. Con tutti i limiti personali e di sistema c’era la consapevolezza del ruolo legislativo perchè quasi tutti avevamo alle spalle una esperienza amministrativa che si è rivelata importante. E devo dire che quando ci sono stati i partiti c’è stata stabilità».

E secondo lei la stabilità di quegli anni ha favorito la crescita della regione?

«Ripeto che i tempi erano diversi, la crisi economica era ancora molto lontana, ma sono convinto che la continuità istituzionale abbia favorito la crescita dell’Abruzzo perchè in tutti noi c’era la consapevolezza di essere al servizio della comunità e, mi creda, non è assolutamente un frase fatta. Il contrasto che io non sono mai riuscito a comprendere è stato quello con l’opposizione comunista: c’era il rifiuto del centrosinistra come soluzione politica e questo portava ad uno scontro permanente su tutte le scelte. Una dinamica politica e una logica che personalmente non ho mai compreso e che non mi hanno mai convinto».

Sembrano anni lontanissimi, in realtà ne sono passati meno di quaranta e tutto è stato travolto. E’ cambiato in meglio o in peggio?

«E’ cambiato tutto, sono cambiate le istituzioni e poi è cambiata la politica e dire in peggio potrebbe essere un giudizio troppo facile. La realtà e che la politica è stata destrutturata perchè sono venuti meno i riferimenti ideologici che non sono stati sostituiti dalle motivazioni ideali. Questo ha provocato la crisi della forma partito a cui non c’è stata nessuna risposta, ma fino ad oggi nessuno si è posto il problema. La forma partito è un dato essenziale in tutte le democrazie moderne».

Quando era presidente del consiglio regionale alla guida della giunta regionale c’era la democristiana Anna Nenna d’Antonio. Come la ricorda?

«Una persona molto determinata nelle sue scelte e credo inguaribilmente malata di politica visto che la vedo ancora occuparsene. Aveva una sua fierezza e una sua autonomia di pensiero anche se era molto realista».

Nel 1990 non ripresenta la sua candidatura alla Regione perchè dice di non condividere le scelte fatte dal gruppo dirigente del suo partito. Ha mai rimpianto quella scelta?

«Non ho mai avuto rimpianti perchè mi sono accorto che le regole erano cambiate, entravano in gioco fattori diversi. Ma non è detto che nella vita bisogna fare sempre le stesse cose e non è che uno debba fare sempre politica. Devo dire che la dimensione culturale dell’impegno politico mi ha consentito nel momento in cui ho preso congedo dalla politica attiva di non aver rimpiati».

Archiviata l’esperienza istituzionale lei, per anni dipendente Enel, torna nel sindacato e con questa veste gira l’Europa nel momento della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica. Che esperienza è stata?

«Il sindacato, come la politica, è mettersi a servizio degli altri. Sicuramente è stata una esperienza positiva perchè sono stati gli anni della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, un settore di primaria importanza ».

Gli studi storici restano la sua grande passione.

« Ho sempre avuto la passione per la storia e ho ripreso a fare ricerche. Ecco, oggi faccio volontariato culturale ed è una delle dimensioni della mia vita che più mi piace».

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