Morì in ospedale a 27 anni, il giudice assolve i tre medici

Roseto, sette anni fa la tragedia di Giuseppe Piccioni. Per il magistrato il fatto non costituisce reato. I professionisti scagionati dalla super perizia del tribunale: «Fecero tutto quello che si poteva fare»

ROSETO. In ogni tragedia c’è un prima e c’è un dopo. Il prima è il sorriso di un ragazzo di 27 anni morto all’ ospedale di Atri, il dopo è un processo finito con l’assoluzione dei tre medici accusati di omicidio colposo. Nel mezzo sette anni scanditi da udienze, consulenze e una super perizia. Perchè era il 13 agosto del 2010 quando il rosetano Giuseppe Piccioni, conosciutissimo operaio in un’azienda di gelati, morì dopo un ricovero di 31 giorni iniziato con un’appendicectomia.

Ieri pomeriggio il giudice di primo grado Franco Tetto ha assolto,facendo riferimento all’articolo 3 della legge Balduzzi, il primario del reparto di chirurgia Osvaldo De Berardinis, i chirurghi Alfredo Torretta e Alfonso Prosperi. Tra gli assolti per morte del reo il nefrologo Maurizio Tancredi, scomparso qualche mese fa (collegio difensivo composto dagli avvocati Tommaso Navarra, Giovanni Gebbia, Maurizio Dionisio e Gianfranco Jadecola). Per tutti è valsa la formula del fatto non costituisce reato. Per conoscere il perchè della sentenza bisognerà aspettare le motivazioni, ma è evidente che ha avuto peso l’esito della super perizia disposta dallo stesso giudice sull’operato dei medici imputati.

I periti Claudio Modini e Maurizio Busi non hanno individuato nessuna responsabilità mediche nè negligenze negli imputati, indicando in una diffusa infezione batterica ed edema cerebrale la causa della morte ed escludendo quindi la disidratazione. Secondo i super esperti nominati dal giudice i medici che in quei giorni si occuparono, a vario titolo del giovane rosetano, «fecero tutto quello che era umanamente possibile per salvarlo trovandosi a gestire una situazione veramente molto difficile». L’inchiesta scattò dopo l’esposto dei familiari: la prima consulenza medica escluse da subito una contaminazione da anisakis (parassita che si trova nelle alici crude), come era stato ipotizzato in un primo momento. Al contrario, secondo i consulenti della pubblica accusa, la morte sarebbe stata causata da una forte disidratazione. Ipotesi smentita dalla perizia del giudice.

Così commenta l’avvocato Navarra: «E’ una vicenda molto triste che piange la morte di un giovane. Ogni responsabilità, tanto più penale, presuppone la certezza della causa di morte. Nel caso di specie questo accertamento di verità è mancato sin dalla fase delle indagini. Il richiamo alla legge Balduzzi è doveroso laddove l’arte medica, presupponendo una complessità di intervento, esclude la responsabilità per colpa lieve». Per l’avvocato Gebbia: «Si prende atto, dopo lungo percorso di sofferenza durato per oltre 5 anni, di una sentenza che restituisce serenità e dignità agli imputati».

©RIPRODUZIONE RISERVATA