Processo-lumaca a Teramo, il giudice condanna il tribunale

La causa dura 18 anni, 12 di troppo. Cittadino di Controguerra vince il ricorso, ma ottiene solo 2mila euro e va in Cassazione

CONTROGUERRA. La legge è uguale (forse) per tutti, ma non arriva. La giustizia marcia col freno a mano tirato e, così, a Teramo una causa per determinare il confine di un terreno può durare anche 18 anni. L’attesa per quel processo senza soluzione - nel frattempo diventato maggiorenne - ha sfiancato un cittadino di Controguerra che ha deciso, prima di diventare lui troppo vecchio, di trascinare in giudizio quello stesso tribunale al quale si era rivolto per vedersi garantiti i propri diritti, dopo che era saltato l’accordo con la controparte in quanto il buonsenso non aveva prevalso. Per questo, il cittadino ha citato il tribunale di Teramo davanti alla competente Corte d’appello di Campobasso chiedendo i danni. Ragioni accolte, ma non nel calcolo del ristoro. Sì, perché quello stesso organo che ha riconosciuto legittimo il ricorso ha stabilito un risarcimento irrisorio, al limite della beffa. Per la Corte molisana, 18 anni di attesa valgono poco più di duemila euro. A vincere è stato di nuovo lo Stato, che se la suona e se la canta. Il ministero di Giustizia, cui spetta l’onere di provvedere al risarcimento economico, se la caverà dunque con gli spiccioli.

Contro questa elemosina, il ricorrente insoddisfatto ricorrerà in Cassazione. L’avvocato difensore, Bruno Massucci, ritiene iniquo il danno economico stabilito nella sentenza per il processo-lumaca alla luce soprattutto di quanto previsto dalla stessa legge che stabilisce fra i 750 ed i mille euro all’anno il danno da liquidare. Ed infatti il ricorrente, dei 28mila euro chiesti allo Stato, vedrà appena l’8 per cento. C’è di più. Il cittadino, che aveva incardinato il processo nel settembre del 1994 per una causa civile relativa al riconfinamento di un terreno con il vicino, nel frattempo era riuscito a dirimere la questione con la controparte, vista la lentezza del processo, con un accordo bonario. Una transazione stragiudiziale che aveva messo la parola fine alla lite. Il buonsenso è stato più veloce dei giudici.

Il ricorrente si è avvalso della legge Pinto, che stabilisce limiti alla durata dei processi. Quello civile non avrebbe dovuto superare i 4 anni. Invece ce ne sono voluti 18, o meglio 12 perché la Corte di Campobasso aveva abbuonato tre anni della legge Pinto, più tre dovuti ai vari rinvii e indisponibilità delle parti. Quelli rimasti, però, sono stati dichiarati fuorilegge e per questo liquidati. Ciò che più avrà amareggiato il ricorrente sarà stato l’atteggiamento protezionistico del sistema giudiziario che, forse per non gravare sulle casse ministeriali, ha accordato un risarcimento sotto il minimo di legge. Il difensore dell’uomo aspetta le motivazioni. Poi, non esclude la possibilità del ricorso anche alla Corte europea di Strasburgo.

Alex De Palo

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