Teramo, evade l'Iva e viene assolto: «Ho ipotecato la mia casa per l’azienda» 

Il caso dell'imprenditore assolto per non aver versato oltre un milione di imposta dopo aver pagato i suoi operai: «Dalle banche poca liquidità. L'Italia non è un Paese per imprenditori»

TERAMO. «Non sono un eroe, ma non mai rubato nulla. Ho la coscienza a posto in quest’Italia che non è un Paese per imprenditori». Le scelte di vita raccontano che le aziende sono la sommatoria dei valori delle persone. Come quella di un altro teramano assolto per non aver versato oltre un milione di Iva dopo aver pagato i suoi operai.
Una storia comune a decine di imprenditori il cui numero è cresciuto a dismisura in questi anni di recessione. Forse con una sola differenza: lui, questo 62enne teramano che nei giorni scorsi è stato assolto dal giudice Massimo Biscardi, ha ipotecato anche la sua casa per avere liquidità, per salvare la sua piccola azienda siderurgica dei grandi appalti pubblici e privati per nomi come la Società italiana per le condotte d’acqua, la Vianini, la società Salerno- Reggio Calabria, le scuole del post terremoto all’Aquila e ad Avezzano. Fino a quello da venti milioni per costruire ponti in Algeria che è sfumato. «Per ora», puntualizza, «visto che siamo in causa per poterlo riottenere e non disperiamo». A fare da spartiacque tra il prima e il dopo una data: maggio 2013 con quella iscrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari di una ipoteca legale per 5 milioni in seguito ad una ordinanza della commissione tributaria provinciale pronunciata su istanza dell’Agenzia delle entrate (la stessa a cui fa riferimento anche il giudice nella sua sentenza di assoluzione). «Questo provvedimento non ci ha consentito di chiedere la rateizzazione dell’Iva in relazione all’anno d’imposta 2012 come avevamo fatto per l’anno precedente», racconta l’imprenditore, «e ha impedito alla società di accedere a qualsiasi forma di capitale di debito da parte degli istituti di credito. Il danno di liquidità è stato enorme perchè i pagamenti degli appalti arrivano sempre in ritardo e allora si chiede alle banche di anticipare i pagamenti delle fatture, ma dopo l’iscrizione dell’ipoteca gli istituti di credito hanno cominciato a stringere». E allora tutto è diventato più difficile in un mercato in cui «gli appalti grossi sono in mani a pochi nomi nazionali che poi subappaltano ai piccoli». Come l’azienda teramana che prima della crisi aveva 100 dipendenti e ora ne ha 30 «tutti grandi professionisti e spero di poter riprendere anche gli altri se le cose andranno per il meglio». Perchè i tempi della giustizia non sono mai quella della vita reale: nel frattempo, infatti, l’impresa è in attesa dell’omologazione del concordato preventivo chiesto nuovamente al tribunale dopo che i giudici d’appello hanno accolto il ricorso contro una precedente sentenza di fallimento. «Noi andiamo avanti», conclude l’imprenditore, «in questo Paese non è facile ma noi ci proviamo. Però con il passare degli anni e con l’aumentare delle difficoltà capisco sempre di più chi tra i miei colleghi alla fine lascia, chi travolto da crisi e sistema creditizio sceglie di non vivere più». Perchè occorrono sguardi molto acuti per capire questo tempo.
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