Teramo, invalida dopo la protesi all’anca fa causa alla Asl per 250mila euro

Il caso di un’anziana teramana: dopo due interventi scopre nel sangue valori alti di cromo e cobalto. L’avvocato: "L’azienda sanitaria non l’ha informata correttamente sulle soluzioni alternative"

TERAMO. Resta invalida dopo l’intervento di protesi all’anca e cita la Asl in tribunale per 250mila euro. E’ il caso di una donna teramana di 80 anni l’ennesimo del lungo elenco stilato nelle aule di giustizia, sia penali sia civili, sulle presunte protesi difettose all'anca della Depuy, azienda della multinazionale Johnson&Johnson, che nel 2010 ritirò il prodotto dal mercato rilevando alcuni problemi.

L’anziana, assistita dall’avvocato Giampietro Dell’Elce, ha avviato una causa civile con l’Asl e la prima udienza si terrà il 26 aprile. Nell’atto di citazione il legale sostiene che alla sua assistita «nel 2008 è stata impiantata una protesi sensibilmente più lunga di quella necessaria all’anca sinistra». E non solo visto che, come già avvenuto anche negli altri casi, una volta richiamata dalla Asl a fare i controlli dopo il ritiro dal commercio di quel genere di protesi, la donna avrebbe riscontrato valori anomali di cobalto nel sangue. «In conseguenza di questa alterazione degli ioni di cromo e cobalto e dei dolori che rendevano impossibile la deambulazione», si legge nell’atto di citazione, «la donna veniva ricoverata in una casa di cura di Roma per essere sottoposta ad un intervento di revisione dell’impianto protesico».

A questo, sostiene il legale, va aggiunto il fatto «che gli interventi stessi non venivano preventivamente supportati da un adeguato, esaustivo, corretto consenso informato della paziente relativamente alla tipologia delle protesi da applicarsi (metallo-metallo), alla possibilità di poter ricorrere all’impianto di protesi di materiale diverso(ceramica, metallo con rivestimento di polietilene) e, neppure, ai rischi connessi all’impianto di protesi metallo-metallo, alla tossicità delle stesse ed alle problematiche evidenziate dalla letteratura scientifica internazionale».

E non solo. Secondo l’avvocato, infatti, «la Asl è responsabile anche per il gravissimo e colpevole ritardo della sua comunicazione (aprile 2011) contenente l’invito alla donna a sottoprsi agli accertamenti clinici, sia rispetto alla decisione della Depuy di rititare il prodotto dal mercato mondiale(agosto 2010), sia rispetto alle decisioni prese da diversi altri Stati che ancora prima del riferito ritiro delle protesi dal mercato, avevano già provveduto a sospenderne l’utilizzo proprio in virtù del loro elevato tasso di contaminazione comprovato, peraltro, da ampia letteratura scientifica. Che, in proposito, basti considerare che il reparto di ortopedia dell’ospedale di Jesi, aveva, fin dal 2006, cessato di utilizzarle proprio in virtù della loro pericolosità e/0 inadeguatezza». Nel 2011, dopo il ritiro delle protesi in tutto il mondo, la Asl ha richiamato i pazienti operati per avviare i controlli.(d.p.)

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