LA TENTAZIONE DELLA RESA DELLA RAGIONE

Ci sono storie che non lasciano spazio al dubbio su dove spargere le briciole di pane della nostra pietà. Ma che ci interrogano come sfingi sulle cause del sangue versato e sulla natura del male. È...

Ci sono storie che non lasciano spazio al dubbio su dove spargere le briciole di pane della nostra pietà. Ma che ci interrogano come sfingi sulle cause del sangue versato e sulla natura del male. È il caso di quella che, ieri pomeriggio, ha inchiodato, per ore, un’intera nazione davanti alle immagini di un uomo in bilico fra la vita e la morte oltre il parapetto di un viadotto alto 40 metri a Francavilla. È una storia muta perché soffocata da gesti estremi. Una donna muore cadendo dal terzo piano della sua casa a Chieti Scalo; poche ore dopo, suo marito ferma l’auto sul ponte, ne discende con la figlia, sua e della donna, scavalca il parapetto del viadotto e getta la bambina nel vuoto. Poi, dopo altre, inutili, ore di trattative con la polizia, condanna se stesso alla medesima sorte: un tuffo nel vuoto della morte certa. Psicologi e sociologi cercheranno di spiegare quei gesti irrevocabili e tranquillizzare le menti di chi sopravvive usando la lingua della ragione. Ma, in cuor nostro, sappiamo che quelle ragioni non placano l’ansia del vuoto di senso che ci assale davanti a una tragedia come questa. Il diavolo probabilmente: un cattolico senza soverchie illusioni come Robert Bresson intitolò così uno dei suoi film sul nichilismo dei tempi in cui il destino ci ha gettati. In assenza di ogni altra spiegazione (sedativa) del male, resta forse solo l’ipotesi di una sua radice sovrannaturale. La stessa che spinge uno dei personaggi di quel film ad ammettere la sua impotenza: «Detesto la vita ma detesto anche la morte: la trovo orribile». Alla tentazione di quella resa, in giornate come quella di ieri, è difficile resistere.
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